“Due passi sono”: Carullo-Minasi e la favola d’amore di Pe e Cri

Carullo e Minasi in Due passi sono (photo: Gianmarco Vetrano)
Carullo e Minasi in Due passi sono (photo: Gianmarco Vetrano)

Il rapporto con il proprio io, quello di coppia, quello con la vita. Il filtro della malattia per accostarsi alla realtà.
Restare immobili, camminare o danzare sopra una scacchiera. Con la difficoltà di azzeccare le mosse giuste. E il rischio di scivolare, anche da seduti.

“Due passi sono”, vincitore del Premio Scenario per Ustica 2011, di In-Box 2012 e del Premio Internazionale Teresa Pomodoro 2013, è lo spettacolo che ha sancito il sodalizio di Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, tra le rivelazioni della scena italiana dell’ultimo decennio. Il duo Carullo-Minasi – come ci avevano anche raccontato in un’intervista ai loro esordi – è attraversato da una poetica visionaria intrisa del male di vivere, superato grazie a un approccio filosofico e a una prospettiva etica. Con il rovesciamento della melanconia in gioia di vivere, accompagnata da una riflessione compassata.

Un fazzoletto di pavimento a quadrati bianchi e neri evoca all’Elfo Puccini di Milano – dove sono arrivati dalla Sicilia portando tre spettacoli – il chiuso di una stanza, illuminato da una lampada. Una pianta con un fiore di lana ricamato a mano correda la scenografia, realizzata da Cinzia Muscolino. Al centro una coppia: lui, Pe, alle prese con una misteriosa malattia e qualche tic; lei, Cri, che è tutta una vibrazione di nervi e smorfie.
Un’allegra chanson francese avvia una danza trotterellante, che si vale di una semplice bottiglia di plastica. Poi Cri inizia a contare le pillole per Pe, che dovrebbero sostituire i pasti e sapere d’acqua o di patate o di pizza.
Pe vorrebbe uscire, ma ha le gambe molli; Cri potrebbe uscire, ma è prigioniera di una gabbia di fisime e ipocondrie.

“Due passi sono” racconta il rapporto di coppia con il suo carico di tensione, la malattia con il suo corredo di paturnie. La pazienza deve fare i conti con la stanchezza e l’irrequietezza.
Lo spettacolo è un valzer di silenzi e balletti surreali, i cui ingredienti coreografici sono la bottiglia e un giornale. E poi un abito da sposa, che spunta da un cuscino-pancione. A portarlo però, in un lieto fine sprigionato da una nuvola di borotalco, è Pe.
In “Due passi sono” le parole, mai invasive, sono riflessioni di senso. Dietro gli alterchi si nasconde il bisogno d’accudimento .
Il duetto è un mix di diffidenza e grazia, umorismo e intuito. Sono i tratti tipici di Carullo (reggino) e Minasi (messinese). Lo stretto divide e unisce. Pe e Cri esorcizzano Scilla e Cariddi con uno spettacolo delicato e visionario, vero e irreale, con quell’espressività meridionale che lambisce clownerie e mimo.
È la poesia delle piccole cose. Piccole, come i protagonisti sulla scena. Piccoli ma grandi, perché lottano, si sostengono, si provocano. Si ritrovano nell’affetto e nella dedizione. Pe’ e Cri combattono la propria battaglia quotidiana contro il limite. Duettano con le proprie fobie. Trovano nell’amore la via per elevarsi sopra le miserie terrestri. Romeo e Giulietta in miniatura, realizzano nella poesia quella felicità che, passo dopo passo, assume i contorni della vita reale.
Due passi sono. A volte basta uscire da casa e adocchiare da lontano il mare. Trovare il coraggio di guardarsi dentro per realizzare i desideri. Che poi, a dispetto dell’etimologia di questa parola, così lontani dalle stelle non sono.

DUE PASSI SONO
regia, testi ed interpretazione Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
scene e costumi Cinzia Muscolino
luci Roberto Bonaventura
produzione Carullo-Minasi
Spettacolo vincitore del Premio Scenario di Ustica 2011

durata: 50’
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 29 marzo 2019

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