Duperdu: al distanziamento sociale risponde l’avvicinamento artistico

Marta Marangoni e Fabio Wolf (photo: Matteo Carassale)
Marta Marangoni e Fabio Wolf (photo: Matteo Carassale)

“La Canzone Fattapposta”. Quanti di noi hanno invidiato ai cantautori la capacità di dedicare musica e parole alla persona amata, a un amico o un familiare; l’abilità di disegnare, con versi e note, un ritratto stravagante: “Lisa dagli occhi blu” o Gianna, Gianna che «aveva un coccodrillo e un dottore»; «Renato, Renato, Renato, così carino così educato» oppure «Peppino, Peppino, figlio dell’amore».
Quanti di noi vorrebbero poi una canzone tutta per sé. Che racchiudesse, in uno schizzo, tratti distintivi del proprio carattere e chiaroscuri della propria personalità.
Che sia quarantena o tempo ordinario, i Duperdu, Marta Marangoni (voce) e Fabio Wolf (pianoforte), coppia nella vita e sul palco, una canzone sono in grado di scriverla. Poi la cantano ad personam, in videochiamata, all’interlocutore prescelto, unendo arte teatrale e abilità da chansonnier. I Duperdu viaggiano nel solco di Nanni Svampa e Dario Fo, di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci, fino a Ricky Gianco e Gianfranco Manfredi.

Marta e Fabio: siete una coppia sul palco e nella vita. Al distanziamento sociale voi rispondete con l’avvicinamento artistico. Come state vivendo questa quarantena?
Tra videoconferenze e scrittura. Costruiamo gli spettacoli di domani. Stiamo lavorando ancora a “Melodramma Ecologico”, lo spettacolo che il 5 maggio avrebbe dovuto debuttare al Teatro della Cooperativa. Manteniamo il contatto umano. Giochiamo con i bimbi, Plinio di 7 anni e Dalia di 4, nell’atrio della casa di ringhiera in cui abitiamo.

Voi Duperdu unite la tradizione del cabaret al teatro civile, alle divagazioni surreali. Siete impegnatissimi a Niguarda, il quartiere in cui vivete.
Sappiamo, in questo momento, di situazioni insostenibili. Proviamo a offrire un po’ di sollievo con il nostro brio. Facciamo videochiamate alle persone fragili, in particolare agli anziani che litigano con solitudine e tecnologia. Cantiamo, chiacchieriamo, scherziamo. Agiamo sul territorio con le iniziative di Teatro Sociale e di Comunità organizzate dalla nostra associazione Minima Theatralia. Sosteniamo, con una parte dei proventi di “Canzone Fattapposta”, la Cooperativa Diapason, partner del progetto di teatro e periferia, che offre servizi di prossimità per le famiglie bisognose nel quartiere Niguarda. L’ultimo acquisto è stato un tablet per una ragazza che ne aveva bisogno per le videolezioni dei figli.

Siete parte di quel teatro resistente che non si è arreso né al Covid né al lockdown. State partecipando al “Decameron” in video party di Elisabetta Carosio. Marta, tu personalmente sei stata impegnata qualche giorno fa su una piattaforma streaming in “Nome di battaglia Lia”.
“Nome di battaglia Lia” è uno spettacolo sulla Resistenza che appartiene alla parte nobile del mio repertorio. Le ospitalità virtuali su nuove piattaforme operative dimostrano la capacità di resilienza del teatro milanese. Proiettano una nuova luce sulla funzione dell’arte e della cultura. Inizialmente abbiamo vissuto con disorientamento l’idea della platea vuota. Ora stiamo apprezzando le nuove possibilità assicurate dal web. Ci divertiamo anche come famiglia. Per il “Decameron”, si sono travestiti anche Plinio e Dalia.

Intanto vi siete inventati questa “Canzone Fattapposta”. Come funziona?
Per prenotare occorre mandare una mail a info@duperdu.org. Rispondiamo con un questionario da compilare. È possibile fissare un appuntamento telefonico al numero 3474890803. Sono canzoni in videochiamata. Il carico emotivo è fortissimo. Influisce l’effetto sorpresa. Il coinvolgimento è grande, non solo per chi riceve la chiamata, ma anche per noi. Proviamo a creare uno squarcio nella quarantena. Prendiamo contatto con una mamma lontana o un amico vicino, ma non raggiungibile per via del lockdown. Non nascondiamo che queste emozioni sono spesso accompagnate dalle lacrime. Abbiamo fatto videochiamate a Singapore o a New York. Abbiamo raggiunto una moglie rimasta bloccata in Cina. Noi siamo i custodi di queste storie. Interveniamo sul bisogno di comunicare.

Come lavorate?
Partiamo da un titolo, un tema, un’idea. Un ricordo, una fotografia, qualsiasi suggestione, diventa input per la nostra ispirazione.

Le occasioni?
Possono essere le più disparate: un anniversario, un compleanno, un onomastico. Ma anche semplicemente il desiderio di un pensiero speciale nel momento surreale che stiamo vivendo.

Quanto è invece realistico scrivere una canzone senza conoscere personalmente il destinatario?
Noi ci facciamo descrivere il destinatario della canzone. Facciamo ricorso a una foto, un messaggio, un ritratto spirituale. Giochiamo su un pregio o un difetto. Ricorriamo a parole strambe, come molcere, lepido, sordido, e a giochi di parole. Cerchiamo di leggere tra le righe e di dare una forma alta a pensieri e parole. Ci colleghiamo a temi universali, sensazioni e sentimenti che provano tutti. Chiediamo al nostro committente che cosa vuole che non si dica, oppure il messaggio che vuole trasmettere. Iniziamo a scrivere. Il testo si fa da sé.

Il costo?
50 euro. Doniamo il 10% del ricavato alla Cooperativa Diapason. Alla videochiamata segue la registrazione in mp3, che inviamo per mail o whatsapp.

Avete una formazione musicale, ma anche teatrale, letteraria, filosofica. Unite sensibilità sociale e valori politici di fratellanza e solidarietà. Cosa vi sentite di dire a chi sta soffrendo nella solitudine e nella malattia, magari perché ha perso una persona cara?
Che stiamo attraversando tutti, pur in modi diversi, lo stesso momento difficile. L’arte è una forma di salvezza. Musica e cultura sono elaborazione e deragliamento: per cercare nuovi sentieri e vie d’uscita.

Siamo reduci dal 25 Aprile. Marta, vuoi ricordare il personaggio di “Nome di battaglia Lia”, Gina Bianchi Galeotti, e spiegarci che cosa può comunicare alle nuove generazioni?
Sono legatissima a Lia, partigiana morta per una raffica di mitra dei nazisti il 24 aprile del 1945, giorno di Liberazione del quartiere Niguarda, a Milano. Io sono nata e cresciuta a Niguarda. Lia era incinta di otto mesi. Nella storia della Resistenza, le donne dei cortili di Niguarda assistevano i militari sbandati, aiutavano economicamente le famiglie di deportati e detenuti. Organizzavano manifestazioni e comizi. Fornivano staffette in operazioni delicate. Stampavano “Noi Donne”, foglio clandestino femminista. Lia era convinta che, quando il figlio sarebbe nato, il fascismo non ci sarebbe stato più. Il 25 Aprile ho sentito il bisogno di recarmi sulla sua lapide. Quando parlo con i ragazzi, cerco sempre un mio nesso personale con Lia che mi consenta di arrivare al pubblico, e un nesso nei ragazzi che possano scoprire il loro modo di resistere. Chiedo loro di riflettere sui motivi che li spingerebbero a correre qualche rischio, a mettere alla prova il loro coraggio. È un modo per rendere contemporanei i sentimenti di Lia e la sua persona.

Proprio all’indomani dell’ultimo 25 Aprile, Anna Bandettini su “Repubblica” ha parlato della festa di Liberazione come occasione persa dai teatri milanesi di far sentire la loro voce. Condividete questa critica?
È un dato di fatto che per il 25 Aprile non è stato organizzato un palinsesto dei teatri milanesi. Le istituzioni erano distratte dall’emergenza Covid. Per me ricordare questa data è un’urgenza. Collaboro con Renato Sarti, che ha la memoria storica nel suo DNA. Mi è spiaciuto che a fronte di grandi mobilitazioni anche recenti, ad esempio quella di sostegno a Liliana Segre contro l’odio da tastiera lo scorso 10 dicembre, con 600 sindaci e 100mila cittadini in marcia, questo 25 Aprile sia trascorso nel silenzio. Ma non biasimo nessuno dei miei colleghi.

Ieri abbiamo festeggiato il Primo Maggio. Un messaggio per le istituzioni e i colleghi del settore dello spettacolo?
Bellezza, cultura e istruzione non sono inutili. Il presidente Conte, nel suo ultimo discorso di presentazione della Fase 2 dell’emergenza Covid, non ha fatto nessun cenno al nostro settore. Anche una sola parola sarebbe stata di conforto. Noi esistiamo.

Avete aderito al gruppo Attrici e Attori Uniti, una comunità di professionisti dello spettacolo che si riconoscono in una cultura etica del lavoro. Cosa chiedete?
Chiediamo un reddito di sostegno che copra la durata dell’emergenza Covid. Chiediamo che Fus e finanziamenti straordinari siano assegnati con criteri di trasparenza, così da sopperire a quei contratti che sono stati interrotti o non sono mai partiti. Chiediamo di essere coinvolti nella programmazione delle modalità di spettacolo in streaming, alternative allo spettacolo dal vivo.

E a parte l’emergenza?
Siamo impegnati contro ogni forma di sfruttamento del nostro lavoro. Ci rendiamo conto di essere una categoria fragile, spesso misconosciuta, a volte stigmatizzata. Siamo messi troppo spesso nelle condizioni di dover ribadire il senso del nostro ruolo. Vorremmo invece un contratto con le stesse garanzie dei lavoratori di settore di Francia e Germania. Siamo vittime di troppe discriminazioni, anche di genere. Sono pochissime le donne con ruoli apicali nella direzioni dei teatri. In un Paese normale, una donna come Serena Sinigaglia, che ha contribuito al rilancio del quartiere milanese Gratosoglio, si ritroverebbe a dirigere il Piccolo. Da noi le donne sono discriminate anche come riconoscimento economico, a parità di ruoli e di fatica. Tutto ciò è inaccettabile in un Paese civile.

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