“C’era una madre, la grande madre. Una grande madre con il ventre stanco e duro. Una madre che covava tre uova. Una madre che aspettava tre figli. Una madre che era rimasta sola.”
E quei gusci si schiudono, nel bianco della scena; c’è fumo, c’è vento, fa freddo.
Creature nude, appena nate e già sfiorite, si svegliano nel gioco della vita scoprendo l’alleanza e il rifiuto, cercando un proprio posto nella solitudine, un luogo e un modo in cui poter semplicemente essere e stare.
Sopra di loro qualcuno già conosce il destino di tutti: è la Madre. La Madre matrona, la titolare, la proprietaria, “arbitro, sarta e carceriera”, la Madre che già dal parto cuce gli abiti per il funerale dei figli, perché nessuno può fare a meno della sua esistenza o ribellarsi alle sue leggi.
E’ volgare Madre Natura, voce screziata e sorriso beffardo, è antica e preziosa come la sua lingua, è nera di odio e rossa d’amore, è l’ingranaggio celeste la cui sopravvivenza è il fine unico per il quale gli altri corpi ruotano senza sosta e con dolenza.
E’ “Duramadre”: “Duramadre è questa terra che vomita e si ribella – scrivono Fibre Parallele nelle note di regia – Possiamo solo raccontarla attraverso una vecchia rancorosa, che sputa catarro e sentenze, una matriarca che ama i propri figli fino a volerli vedere morti. La possiamo raccontare solo attraverso un gioco che finisce con la morte”.
Fibre Parallele costruisce un’opera complessa, originale e coraggiosa: sceglie di affrontare una tematica universale utilizzando un linguaggio scenico che combina la forza delle parole all’incisività di immagini a volte rarefatte, altre volte crude e carnali, tutte contraddistinte da un imponente valore simbolico. Nella cornice di una favola surreale – con annessa voce narrante – si alternano così quadri epici a figurine comiche, dove ai versi di Leopardi fanno da contraltare urla sguaiate e partite di pallone. E se pure alcuni passaggi possono risultare ancora poco fluidi, ciò che si avverte è una forte emozione. Si ha l’impressione di partecipare dalla platea ad una storia che appartiene a tutti coloro che stanno a guardare.
E’ l’ineluttabilità della Natura ad andare in scena. E’ il tentativo di indagare quali e quante possibilità abbiamo per resistere, di immaginare uno slancio che ci possa salvare. E’ una celebrazione della bellezza di ogni sconfitta.
Quella “social catena” evocata ne “La Ginestra” leopardiana prende forma nei corpi disarmati degli attori e negli occhi di chi li accompagna nella loro azioni.
La poesia cambia forma e si annida nel soffiare del vento, nei versi blu di un ispiratissimo Riccardo Spagnulo, nel mistero doloroso della morte della Madre, interpretata dall’appassionata Licia Lanera.
Nella catastrofe si svela il colore, nella compassione il senso dell’essere uomo.
Duramadre
di: Riccardo Spagnulo
con: Mino Decataldo, Licia Lanera, Marialuisa Longo, Simone Scibilia, Riccardo Spagnulo
voce narrante: Rossana Marangelli
luci: Giuseppe Dentamaro
realizzazione scene: Mimmo e Michele Miolli
sartoria: Modesta Pece
assistenti alla regia: Elio Colasanto, Rossana Marangelli
regia, spazio, scene: Licia Lanera
produzione: Fibre Parallele
in coproduzione con: Festival Internazionale Castel dei Mondi di Andria e il Festival Operaestate di Bassano del Grappa
con il sostegno spaziale economico ed emotivo di: Res Extensa, Ass. Cult. Explorer, Es. Terni Festival, PimOff
durata: 50′
applausi del pubblico: 6′
Visto al FAST, Teatro Secci di Terni, il 18 settembre 2011