Al Teatro Fontana di Milano non decolla lo spettacolo di e con Ivonne Capece
«Cultura è equilibrio intellettuale, riflessione critica, senso di discernimento, aborrimento di ogni semplificazione, di ogni manicheismo e di ogni parzialità».
Le parole di Norberto Bobbio, filosofo del diritto e della politica che ha attraversato la storia del Novecento, ci soccorrono per spettacoli come “Dux Pink”, monologo sulle “donne di Mussolini”, che la compagnia bolognese (S)BLOCCO5 ha presentato al Teatro Fontana di Milano in dittico con “20/20. Il futuro è già in onda”.
Il progetto, vincitore del bando sulla Memoria promosso dalla Regione Emilia Romagna, persegue l’obiettivo di smantellare alcuni stereotipi (anche di genere) sulla storia e sulla politica italiana dell’ultimo secolo.
Nel caso di “Dux Pink”, l’intento è ambizioso: evidenziare come, nella scalata del fascismo verso la dittatura, l’antisemitismo e la guerra, Mussolini avesse dietro di sé un filo rosso al femminile che ne avrebbe supportato e condizionato l’azione. Leggiamo infatti nella scheda dello spettacolo con Ivonne Capece, l’attrice in scena e autrice del monologo e della regia: «Una schiera di donne […] resero possibile la costruzione del mito di Mussolini […] Margherita Sarfatti […] finanziatrice, fondamentale per il colpo di stato […] Edda Ciano, […] fondamentale per l’avvicinamento dell’Italia alla Germania prima, e poi traditrice a capo della congiura per l’eliminazione di suo padre […] Clara Petacci […], compagna nella fuga, nel furto di soldi dalla Banca d’Italia e nella morte; Rachele Mussolini […] determinante per la costruzione di un’Italia del “perdono” che sminuì le colpe del regime».
Ivonne Capece, insomma, si propone come garante di una riscrittura della storia che paradossalmente finisce per edulcorare alcuni aspetti tra i più stigmatizzati della figura del duce: che non sarebbe più il burattinaio dalla retorica intrisa di maschilismo e misoginia, ma un personaggio influenzabile dalle donne. Secondo questa lettura inconsapevolmente revisionista, dunque, le donne contavano, decidevano, determinavano. Il fascismo sarebbe stato “rosa” prima che “nero”.
Margherita Sarfatti, mecenate, scrittrice e critica d’arte ebrea, sarebbe stata una finanziatrice di Mussolini (lettura che asseconda una vulgata di cui si è appropriata un’estrema destra nostalgica che non ha mai rinnegato il saluto romano). Sarfatti sarebbe stata “fondamentale per il colpo di stato”.
Ci sarebbe da discutere sulla marcia su Roma, che non fu un golpe vero e proprio, ma l’atto servile di re Vittorio Emanuele III, che non proclamò lo stato d’assedio, mise Facta nelle condizioni di dimettersi e incaricò Mussolini di formare il nuovo governo. Nell’escalation autocratica del regime, il ruolo di Sarfatti si rivelò marginale, seppure non evanescente. La scrittrice fu in realtà un personaggio ambivalente. Già prima di scappare da un’Italia che abbracciava l’antisemitismo, si era avvicinata agli USA, e aveva condannato tanto l’aggressione coloniale all’Abissinia, quanto l’alleanza militare con la Germania.
Di quest’ultima, secondo Capece, sarebbe stata invece artefice la figlia del duce Edda. La quale, di fatto, si limitò a qualche visita di cortesia a Hitler per conto del padre, con insofferenza del marito Galeazzo Ciano che la accusava di non capire niente di politica.
L’errore da matita blu di questa sintesi, è l’accusa rivolta a Edda di essere a capo della congiura che depose Mussolini il 25 luglio del ‘43. In realtà non risulta che la donna abbia avuto parte nella vicenda. Tra i 19 gerarchi che votarono a favore dell’Ordine del Giorno Grandi, che portò alla caduta di Mussolini, c’era sì Ciano, ma qui Capece sembra confondere Edda con Galeazzo, facendo di tutte le erbe un fascio (littorio).
Poi Claretta Petacci, l’amante che seguì il duce fino all’autodistruzione. Era certo arrivista, cinica e spregiudicata: ma è credibile che fosse coinvolta nel discusso “furto dei soldi della banca d’Italia”, lei che non è citata neppure una volta nel libro più importante sulla vicenda, scritto da Sergio Cardarelli e Renata Martano per Laterza? Anche qui è forte la sensazione di un’altra inesattezza sesquipedale: che si confonda l’oro della Banca d’Italia con l’oro di Dongo.
Infine Rachele Guidi: avrebbe avuto – secondo questa lettura sbrigativa e sensazionalista – la colpa di aver contribuito alla costruzione di un’Italia del perdono. Praticamente si accusa la moglie del duce di aver auspicato, dopo la guerra civile, quella riconciliazione tra vincitori e vinti che fu il vanto politico del comunista Togliatti, propugnatore dell’amnistia da cui nacque l’Italia repubblicana.
Inesattezze, forzature e semplificazioni sulla presentazione basterebbero da sole a giudicare un lavoro che pretende di essere storico, e intanto fa ricorso a una storiografia approssimativa e schematica.
Ma in “Dux Pink” sono soprattutto le scelte artistiche che non convincono. Inizialmente si presenta un personaggio femminile (meloniano?) che incarna le peggiori derive postfasciste dell’epoca contemporanea. Il suo discorso è un inno al sovranismo e alla famiglia tradizionale, in antagonismo alle tematiche Lgbt, ed ecologiste.
Dopodiché, con un triplo salto carpiale, ci si collega a queste figure femminili novecentesche (Petacci, Sarfatti, Ciano e Guidi), tutte definite con tratti caricaturali. Di queste donne vediamo solo la scorsa.
La satira è divina quando colpisce i contemporanei, è patetica quando infierisce su personaggi secondari, già condannati alla damnatio memoriae dalla storia.
“Dux Pink” non approfondisce: si limita a irridere. Non che ci sia un’intenzione denigratoria: è che qui manca uno studio serio sui personaggi. Le esasperazioni grottesche che vediamo in scena sono distanti dai personaggi reali che ci hanno consegnato i filmati d’archivio. Anche i video onirici che – come contrappunto scenico – accompagnano queste caratterizzazioni, diventano una sorta di doppione vintage, traducendosi nella più bislacca delle didascalie. È come se a noi spettatori fosse suggerita una chiave (paternalistica) per accostarci allo spettacolo e fossimo guidati nel giudizio.
Capece ironizza sulle donne e ci prepara all’esito catastrofico. L’unico momento in cui lo spettacolo appare serio è quando viene letto e riletto il riscontro autoptico sul cadavere maciullato di Mussolini dopo piazzale Loreto: ci sa tanto di accanimento, e forse di compiacimento giustizialista.
Questo spettacolo manicheo rappresenta l’antitesi del teatro che ci auguriamo di vedere: quello che unisce la ricerca alla pietas, l’analisi al rispetto del soggetto scenico e dell’oggettività dei fatti. Aspetti che non possono mancare neppure nella rappresentazione del male. Attendiamo la compagnia bolognese a una prova più matura.
DUX PINK
Regia e interpretazione Ivonne Capece
Drammaturgia Ivonne Capece
Scene e costumi Micol Vighi
Con il contributo di Regione Emilia Romagna; Patrocinio di Comune di Bologna, Quartiere Foro Boario Forlì
In partnership con Elsinor Centro di Produzione teatrale, Aics Bologna, Atrium Cultural Route Forlì
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Teatro Fontana, il 14 ottobre 2022