E riapparvero gli animali: Teatro delle Ariette tra i ragazzi di don Mazzi

Photo: Maurizio D'Egidio
Photo: Maurizio D'Egidio

Cibo e narrazione alla Fondazione Exodus con Humus, festival per le periferie di Alma Rosé

In meteorologia, l’arietta è una brezza balsamica. In musica, è una melodia breve tipica del melodramma del Settecento. A teatro, le Ariette sono una compagnia emiliana di attori-contadini che realizzano una drammaturgia artigianale basata su un incontro immediato con gli spettatori. I loro spettacoli contemplano il rito del cibo da cucinare in scena. La convivialità trasforma l’esperienza in teatro di comunità.

Un venticello gradevole e i movimenti leggeri della musica accompagnano questa compagnia fondata da Paola Berselli e Stefano Pasquini. Il nome coincide con il podere delle Ariette, dove la coppia (anche nella vita) si è insediata nell’ormai lontano 1989, a Castello di Serravalle (ora Valsamoggia), tra Bologna e Modena.
Le Ariette sono un’azienda agricola immersa nella natura. Vi si producono gli ingredienti (rigorosamente biologici) usati anche durante gli spettacoli. Berselli e Pasquini sono artefici di un rito basato sulla narrazione autobiografica: storie da condividere insieme al cibo.
È un format collaudato, sorprendente per chi lo ignora, prevedibile per chi lo conosce. La seconda ipotesi non rende meno intrigante la serata: sarai a cena con degli amici, ti sentirai al centro, ascolterai una nuova storia.

Incontriamo le Ariette al Parco Lambro, periferia nord-est di Milano. Siamo alla Fondazione Exodus, nella comunità creata a metà anni Ottanta da don Antonio Mazzi. In quegli anni il luogo era ancora sinonimo di droga, siringhe e morte. Don Mazzi decise di risanarlo. Trovò Cristo nei tossicodipendenti e nei carcerati da riabilitare, nei sieropositivi e nei malati di AIDS, negli ex terroristi e nei profughi.
All’alba dei suoi 94 anni, don Mazzi si confonde nella penombra del pubblico disposto a ferro di cavallo attorno agli attori. Conserva negli occhi un raggio di combattimento. Sgattaiolerà via, veloce nel suo deambulatore, a spettacolo non ancora finito. Domani è un nuovo giorno di lavoro.

In questa fresca serata di settembre in cui anche le zanzare depongono le armi, i padroni di casa sono Paola e Stefano. Sono don Antonio, i suoi ragazzi e gli educatori. Sono anche Manuel Ferreira ed Elena Lolli di Alma Rosé, che hanno vinto il bando per le periferie “Milano è Viva”.
“E riapparvero gli animali” delle Ariette si trova infatti nel cartellone di “Humus Festival 2023 – Nuovi Terreni per una città”, il progetto di Alma Rosé.
Qui la periferia è reale, non un pretesto. L’ingresso agli spettacoli è libero. I bagliori dei salotti della città e le luci della movida sono lontanissimi. Non siamo a Brera, al Quadrilatero o a piazza Duomo, dove il reddito medio è di 90mila euro. Non siamo neppure a Milanocity, dove si guadagnano più di 70mila euro. Qui siamo nei sobborghi della metropoli: per chi abita fra Rizzoli, Palmanova, Cimiano e Crescenzago, il reddito medio è sotto i 22mila euro. Solo a Quarto Oggiaro si sta peggio. E per chi esce da Exodus, il futuro è una scommessa.

Nel parco Lambro la natura si riprende i suoi spazi. Ci ricordiamo di Milano solo per il rombo delle automobili nella vicina tangenziale e per gli aerei in decollo da Linate.
Ci abbandoniamo al racconto delle Ariette. “E riapparvero gli animali”, testo della francese Catherine Zambon, è un monologo interpretato da Berselli accompagnata da Pasquini alla regia, alle musiche (anche live, con la chitarra) e soprattutto alle pietanze. La narrazione ci riconduce al 2020, ai tormenti di quel primo tragico lockdown che avrebbe dovuto rivoluzionare il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri, con la vita e con la natura.
Zambon aveva intuito quanto gli slanci idealistici di quel periodo fossero velleitari. Il testo disegna un futuro distopico. Diverse epidemie hanno indotto l’uomo alla distruzione di varie specie di animali. È tratteggiata un’umanità alla deriva, eppure con deliri di onnipotenza. La società è atomizzata tra individualismi e segregazione. Viaggiare è possibile solo per i più abbienti. La polarizzazione delle ricchezze esaspera privazioni e privilegi.

“E riapparvero gli animali” è scenario di imperfezioni narrate all’imperfetto. Il futuro è già passato, con le catastrofi climatiche e le estinzioni massive di animali, che hanno indebolito le possibilità di sopravvivenza degli stessi uomini. Il testo colpisce per la lucidità con cui stigmatizza la nostra incapacità di preservare la natura. Sulla scena ci sono un barbagianni e un lupo imbalsamati. C’è una gabbia vuota, e non si capisce se sia un anelito di libertà o quel che avanza delle nostre distruzioni.
A tratti, anche attraverso la lettura di una delle dieci lettere che Pasquini e Berselli scrissero durante il lockdown, sembra di stare dentro una pagina di Jack London. Roberta racconta: i suoi occhi brillano come stelle rimpiazzando la luna nascosta. Stefano impasta tortelli di zucca, patate, aglio e rosmarino. Li cuoce alla lastra, spandendo nell’aria un balsamo gradevole come incenso. Distribuisce i tortelli attraverso due grandi ceste, e pare la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Teatro delle piccole cose. “Fattoria degli animali” senza prevaricazione. Lo spettacolo sfuma sulle note di “Where Have All the Flowers Gone?”. Con Joan Baez “usignolo di Woodstock”, “madonna del folk”, voce dei diseredati, meditiamo sulla morte, sulla guerra, sul pianeta che stiamo distruggendo. L’epilogo è il connubio fra le tagliatelle al pesto delle Ariette e le succulente pizze preparate dai ragazzi di Exodus.
“Milano è Viva” quando incontra non la periferia immaginaria, ma quella vera, con la sua voglia di sognare. “E riapparvero gli animali” e Alma Rosé dimostrano che quest’alchimia, ogni tanto, è possibile.

E riapparvero gli animali
testo Catherine Zambon
traduzione e regia Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Berselli e Stefano Pasquini

durata; 1 h
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Fondazione Exodus, l’8 settembre 2023

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