Ultimo episodio delle lettere dal Fringe 2012 firmate Sanpapié con il racconto della night-life scozzese di Marcello Gori.
Ringraziamo Marcello, Fabio e Marco per la loro disponibilità e per la collaborazione con Klp concretizzatasi nei quattro articoli pubblicati dal 19 agosto ad oggi. E’ stata un’esperienza molto proficua e divertente e ci ha permesso di conoscere meglio la realtà del Fringe direttamente dalle parole di chi lo stava vivendo in prima persona come artista. Grazie!
All’Edinburgh Fringe Festival essere un musicista che svolge funzioni di tecnico audio ha i suoi vantaggi: non dovete alzarvi presto per partecipare alle classi di danza, potete alzare un po’ il gomito anche se il giorno seguente la replica è alle 14 e nessuno della vostra compagnia se la prenderà se qualche volta tornerete a casa mentre gli altri stanno facendo colazione. Dev’essere per questo motivo (e per la mia comprovata esperienza sul campo durante l’edizione del 2009), che è stato affidato a me il compito di riferire sulla nightlife edimburghese durante la bolgia festivaliera.
Confesso però che il compito è molto arduo perché, da queste parti, la gente ama molto stare in giro la notte (specie ad agosto, un mese dal clima relativamente tiepido e asciutto) e la città offre un ventaglio di possibilità pressoché sterminato. Considerate, per cominciare, che nella maggior parte delle venue (sono 378!) praticamente ogni sera c’è qualcosa di descrivibile come nightlife: musica, alcoolici e giovani britannici mediamente meno vestiti di voi.
Solo per fare alcuni esempi: Il Tron, un’affascinante chiesa sconsacrata all’incrocio tra la Royal Mile e South Bridge, offre spettacoli gratuiti di burlesque e cabaret; alla C Venue in Chambers Street (quest’anno orfana del suo grande spazio all’aperto) si vedono ogni sera orde di ragazzini che si esaltano ballando Rihanna; la Summerhall, venue al secondo Fringe ma già molto frequentata, offre eventi collaterali al festival, come mostre d’arte e sfilate, e può contare su un grande cortile e diversi bar; e nel “Triangolo Magico” tra la mucca a testa in giù di Underbelly, il Gilded Balloon e Assembly, potete soddisfare la voglia di una socialità gioviale e caciarona (con tanti tavoli all’aperto e musica fino alle 5) e anche gustare il miglior hamburger del Fringe, l’Aberdeen Angus Beef (sempre “well hung and tender”).
Se invece amate la musica dal vivo, Edimburgo saprà stupirvi con un’offerta veramente ricchissima: dalle session folk del piccolissimo Royal Oak (un vero must-see, a costo di rimanerci incastrati dentro), all’acid jazz e il funk dell’elegante Jazz Bar, fino al rock del Whistle Binkies, grande pub sotterraneo aperto fino alle 5 di mattina, ora in cui è possibile incontrare un suonatore di xilofono che approfitta del riverbero offerto dalla volta di uno dei tanti ponti della città o ancora un beat-boxer con tanto di cassa portatile ricavata da una tanica di benzina che offre ai giovani la possibilità di ballare oltre l’orario di chiusura dei locali (fino, naturalmente, all’arrivo della polizia).
Un paragrafo a parte merita il Checkpoint Charlie, tappa obbligata di ogni permanenza al Fringe che si rispetti. Situato nei locali dell’ex chiesa avventista di Bristo Place (al piano di sopra c’è ancora un vecchio organo a canne), è un locale dalla storia decennale, essendo stato fino allo scorso anno la sede del Forest, un caffè occupato nel 2003 e autogestito con uno spirito e un’estetica veramente (per chi ha avuto la fortuna di vederli) indimenticabili. Ma le belle storie, si sa, a volte finiscono, e gli occupanti, il 31 agosto scorso, hanno dovuto sloggiare perché la proprietà era decisa a vendere e loro non potevano far fronte alle loro richieste. Così il locale è stato rilevato da Assembly (una delle venue più potenti del Fringe) e riaperto poco innanzi, dopo una bella ripulita e un deciso restyling che lo ha reso più cool ma – ahimé – molto meno particolare. Alla nuova gestione va il merito, però, di non avere del tutto dimenticato lo spirito del Forest (ci sono ancora tanti divani e panche dove rilassarsi e bere una birra tranquilli) né il suo orientamento verso la musica funky e soul, con concerti tutte le sere, seguiti da dj-set di sicuro divertimento. Un’avvertenza: se pensate di spendere qui il fascino del vostro essere artisti, avete sbagliato posto, visto che i frequentatori del Checkpoint Charlie sono praticamente tutti artisti o aspiranti tali e spesso sono vestiti in maniera decisamente più stravagante della vostra. Per la cronaca, gli occupanti del Forest hanno riaperto al 141 di Lauriston Place, ma il nuovo locale (un ex ristorante cinese, molto piccolo), non ha nulla, purtroppo, del fascino del vecchio.
Se avete voglia di avventurarvi al di fuori della “Fringe Town” (un’ideale cerchio di mezzo miglio attorno al Box Office in cui si concentrano un centinaio di venue), può essere divertente fare un salto a Leith Street, la via di locali gay come il CC Bloom, l’Havana Bar o il GHQ: locali a metà strada tra bar e club, ad ingresso per lo più gratuito, con luci, musica e prezzi dei cocktail decisamente bassi (mediamente 2,5 £ per un vodka tonic). Selezione musicale molto poco interessante (commerciale, revival) ma ambienti piacevoli e frequentatori (uomini e donne, gay ed etero) piuttosto amichevoli.
La via consacrata al clubbing, invece, è Cowgate, dove, praticamente uno dietro l’altro, ci sono lo Sneaky Pete’s, l’Opium e il Base. Si tratta di locali piuttosto piccoli, ad ingresso gratuito o molto economico, in cui è possibile ballare a ritmo di house, techno ed elettronica in generale. L’età media è bassa (20-25 anni), a meno di non girare a sinistra in Blair Street per raggiungere il Cabaret Voltaire, locale sotterraneo di gusto più radical chic, con ingresso a pagamento nei weekend, la cui clientela è spesso più vicina ai trent’anni che ai venti.
Se avete la pazienza di allungare la passeggiata fino a dove Cowgate diventa Holyrood Road, finirete di fronte al Bongo Club. Pur avendone sentito parlare diverse volte, non avevo mai avuto l’occasione di andarci. Ma il caso ha voluto che, proprio in corrispondenza dell’ultimo sabato di spettacolo, al Bongo fosse in programma una serata dubstep & jungle dall’accattivante nome di “Big and Bashy”, inoltre sembra proprio che il prossimo settembre il Bongo chiuderà. Dopo una galvanizzante cena italo-scozzese, ci dirigiamo tutti lì per celebrarlo degnamente (e festeggiare la nostra sopravvivenza al Fringe 2012). Il locale (ingresso 6 £) è piuttosto ampio, è affollato ma non zeppo (lo spazio è importante per ballare decentemente e qui in Scozia sembrano saperlo bene), e l’impianto è decisamente all’altezza (così come i tre dj-vocalist). I ragazzi dietro il bancone sono gentili e molto rapidi, e la clientela è giovane e molto divertita: insomma, we will miss you, Bongo Club!
Un solo consiglio: se dopo una nottata trascorsa al Bongo a ballare e bere vodka tonic, mentre tornate verso casa alle prime luci dell’alba, passata George Square, vi viene in mente di scivolare sul corrimano che porta a Bucchleuch Place, non fatelo! Potreste tornare a casa impiastricciati di sangue con un taglio a forma di L sulla testa; la L di life, naturalmente.
Marcello Gori
Musicista, Sanpapié
In chiusura presentiamo 3 video-interviste: a Kath Mainland, Chief Executive della Fringe Society, abbiamo chiesto di raccontarci in breve – e in cifre – il Fringe 2012, di tracciare un possibile orizzonte per il festival più grande al mondo e di dirci quali sono le ragioni per venire e quelle per starsene a casa; la risposta è, ovviamente, di parte, ma contiene a nostro avviso un importante suggerimento: il Fringe porta risultati a chi sa cosa vuole ottenere, altrimenti rischia di essere una grande scottatura. Morag Deyes, direttrice artistica di Dance Base e “patrona” della danza italiana in Scozia, presenta l’attività del centro e racconta come la danza si confronta con la vastità del Fringe.
Infine noi, i Sanpapié, nelle facce di Lara Guidetti, coreografa e performer, Marco Di Stefano, regista e drammaturgo, e Fabio Ferretti, organizzatore, per dire come sono andate le cose anche a noi.
Qui in Scozia per salutarsi non dicono “Bye” o altre simili formalità britanniche, ma emettono un suono che è l’unione di due parole diverse, “Cheers” e “Man” – che in tal caso non distingue uomo da donna – e il risultato suona più o meno così: CIIRSMEEN! Ciao a tutti!