Eccoci qui, rapiti dal vortice di uno dei più grandi eventi teatrali dell’anno, per lo meno in quest’Europa Occidentale. Atterrare a Edinburgh in agosto significa vendere almeno un pezzo d’anima a Thalia. La dea del teatro ti prende e ti tiene con sé, ti dimostra che, per la data in cui hai scelto di arrivare, lei ha preparato già tutto: ogni angolo pulsa costantemente di quel battito inconfondibile che è il soffio del palcoscenico.
Individuare i confini di quel palcoscenico, allora, diviene la vera avventura, mentre si passa dal tableaux vivant con ragazza morta portato in strada da una compagnia bulgara (a monito delle repliche de “La leçon” di Ionesco), alla desolante immagine di un giovane scozzese che divora, barba e corpo ricoperti di salsa barbecue, un enorme scatola di pollo fritto, segno che l’arte concettuale esiste ancora.
Il cielo è sempre quello sconfinato e veloce di Edimburgo, ma le scariche elettriche che percorrono vie e piazze sono quelle proprie solo di certe giornate estive, dove – tra una lama di vento che si alza d’improvviso e il pensiero della pioggia che a breve scenderà nebulizzata – s’inserisce quadrata la sensazione di far parte di un’enorme platea. Caotica e meravigliosa, questa è la Edimburgo che preferiamo.
Inauguro la mia salita a Nord con una veloce puntata all’ufficio stampa del festival, situato al primo piano di The Hub, lo splendido centro culturale che campeggia a un centinaio di metri dal famoso castello, in cima al Royal Mile. Il resto è attesa di vedere teatro. Mi volto, cammino, mi lascio prendere per mano dal vorticoso intrigo di sguardi rapidi e pelli truccate, strati su strati di cerone e ciglia finte, costumi a tema, mangiafuoco e finte famigliole in costume vittoriano. Lascio che le tasche mi si riempiano di flyer e memorandum (“come see this”, “come see that”), tanto so che le prossime ore le spenderò curvo sul programma del Fringe, scorrendo il dito sull’elenco alla ricerca del titolo che attira. Rabdomante di creatività ed esperimenti.
Come già mi era accaduto di perdermi nelle trecento pagine di offerta del festival Off di Avignon, non ho fretta né pregiudizi nel decidere che cosa vorrò che mi colpisca gli occhi di questo festival “laterale”. Usiamo virgolette su virgolette, ché come al solito il popolo del sotterraneo è molto più numeroso dei virtuosi della superficie. Offerta frammentata, quella del Fringe, nella quale salta agli occhi l’ansia di coprire con cura ogni recondito angolo dell’espressività. Ce n’è davvero per tutti i gusti: se l’Off avignonese, tuttavia, indicizzava gli spettacoli addirittura per fascia oraria e area di fruibilità, a spartire gli argini del Fringe è solo il genere: comedy, dance/physical theatre, music, opera and musical, theatre, events ed exibitions. Definizioni che bastano e avanzano. Il resto lo troveremo da noi, a nuoto in questa fresca vasca di percezioni incrociate, a passeggio in questa serra in cui, si dice, il teatro contemporaneo è davvero in grado di rinascere.