Cartina alla mano, seduti in un pub con una Guinness per far colazione (giusto per prendere le abitudini del posto), iniziate a segnare i punti di riferimento maggiori, che sono il Dance Base, l’Underbelly, l’Assembly, il Traverse, il Pleasence (e da un paio d’anni anche il centralissimo C-Venue), i posti dove si concentrano il maggior numero di spettacoli e di eventi: alcuni luoghi vengono attrezzati praticamente per l’occasione, altri, come il Traverse, sono teatri storici della capitale scozzese. La città sorge su diverse colline: attrezzatevi per vigorosi saliscendi, quasi sempre bagnati da quella pioggerellina scozzese che viene e va, ma che è raro lasci del tutto in pace.
Se siete poco domestici con la lingua inglese, è evidente che uno spettacolo di drammaturgia pura non sarà quello che vi si confà maggiormente: il programma del festival (che ha un formato di rivista illustrata assai ben fatto) vi viene incontro. E’ diviso in sezioni (commedia, physical theatre, danza, musica etc.) e c’è l’elenco sia per luoghi che per generi: insomma, non ci si può confondere, anche se ci si può perdere in così tanta roba. Il modo migliore per capire davvero cosa è la molteplicità del festival è arrivare in High Street, nel famoso Royal Mile, che corre parallelo al tracciato ferroviario dal lato del castello, di fatto il cuore della città. Troverete centinaia, nel fine settimana migliaia, di artisti che a turno, chi guardandovi in silenzio chi urlandovi come al mercato, vi darà una locandina dello spettacolo. Buttatevi, è ora di infilarvi in qualche ‘venue’.
Nei fringe festival di tutto il mondo funziona così: il pubblico lo si acchiappa per strada. Se tu, artista, non sei in uno dei posti più esclusivi, ma anche se ci sei, tocca sbattersi per portare gente a vedere il tuo spettacolo. Per il principio stesso del festival: gli artisti si pagano tutto, affitto dello spazio, alloggio ecc. Se la cosa tira, l’artista rientra delle spese e torna a casa felice, con un po’ di soldi e un po’ di gloria. Altrimenti torna con le pive nel sacco e gli occhi neri. Come si capisce se una cosa tira? Beh’, nell’andare avanti dei giorni i giornali della città sputano recensioni a raffica, e il pubblico le segue. Sulle locandine all’ingresso dei teatri vengono affisse, insieme a quante stellette il tuo spettacolo ha preso: da una a cinque, come quelle di Klp insomma. Cinque stelle è ovviamente il massimo, e ci sta che ti scappi la candidatura come miglior spettacolo del festival, segnalazioni ufficiali come il Pick of the Fringe, e magari la nomination per il Total Award. E’ esattamente quello che è successo quest’anno alla compagnia italiana Scarlattine Teatro che ha portato in scena “Manolibera”.
Scarlattine, insieme ad altre compagnie lombarde (Animanera con lo spettacolo “Or(funny)”, Dionisi con “Serate Bastarde”, Sanpapié con “Boh”), ha accettato la sfida di Edimburgo decidendo di affittare una sala e di replicare per un mese, andando per strada a fare pubblicità di giorno e poi in scena la sera. Fino allo sfinimento.
Cosa c’è di speciale nel videoracconto che proponiamo oggi? Un festival visto dal lato degli spettatori ma anche da quello degli attori: dal dopo recita, alla lettura della recensione appena stampata a casa degli artisti, dalle stellette, alle attese, dai lamenti, alle gioie alla fatica della promozione.
Oltre gli italiani in trasferta, qualche intervista ad artisti stranieri, come Pere Faura, originale danzatore incontrato al Dance Base dopo il suo spettacolo e che sarà ospite dell’edizione di quest’anno di Es.Terni, o la compagnia Reeling & Writhing, nella programmazione dell’Assembly-Holyrood Road con “Funny”: una storia vera, scoperta dal fotografo Tim Nunn, drammaturgo, e portata in scena da Katherine Morley con un eccellente Tommy Mullins interprete principale.
Il video dedicato al Fringe 09 è insomma un mix di tutto, dal back stage all’on stage, passando per la platea, per il Royal Mile, per le vie, per i piedi che danzano e gli occhi che recitano. Nothing more, nothing less than the Fringe. Cheers.