“Se i musei sono aperti e i teatri no, portiamo il teatro al museo”.
E’ andata più o meno così durante una riunione al Teatro Nazionale di Genova di qualche mese fa. Poi l’incremento dei casi, la chiusura dei musei e ora la riapertura e, con essa, il concretizzarsi del progetto. Mente di tutto ciò è Davide Livermore, neodirettore e figura poliedrica nel panorama teatrale lirico e di prosa. Aperto agli intrecci e alle contaminazioni, Livermore ha fatto sentire la sua voce, senza mezzi termini, anche sulla recente polemica di Sanremo e dei teatri chiusi, prendendo posizione.
E’ in questa direzione, nel prendere posizione, nell’interrogarsi, nell’agire che va la mostra “Edipo, io contagio” allestita nel Sottoporticato di Palazzo Ducale in collaborazione con la Fondazione stessa del noto polo museale.
Ma non immaginiamoci un’esposizione di costumi d’epoca o preziosi manoscritti. C’è, lì dentro, tutta la forza, la disperazione, l’interrogativo di chi si è trovato improvvisamente in un limbo paradossale e inquietante. Ecco il collegamento con l’Edipo, quasi scontato. Con il supporto di Margherita Rubino e Andrea Porcheddu il gioco è fatto.
Il primo atto della tragedia di Sofocle parla, guarda caso, proprio dell’esplosione di un contagio. La Tebe afflitta dalla pestilenza non è nient’altro che il mondo che stiamo vivendo oggi e non c’è bisogno di spiegarlo. Si entra pochi alla volta in turni stabiliti. Le scritte alle pareti ci riassumono in poche parole quello che stiamo ascoltando. Al centro i cavalli squartati e abbattuti, grondano sangue. Sono scenografie provenienti dalla Scala di Milano, ideate da Gae Aulenti, Christian Fenouilla, Giò Forma, Gideon Davey per grandi allestimenti di Ronconi, Leiser, Carsen e lo stesso Livermore.
Ma cosa ascoltiamo mentre attraversiamo questa città così lontana da essere contemporanea? I tesori più preziosi dell’esposizione si trovano sigillati in sei teche trasparenti. Al loro interno altrettanti attori evocano frammenti del testo, personaggi, emozioni. Il loro grido, amplificato dal microfono, tocca chiunque. I visitatori, impietriti, non sanno bene dove collocarsi nello spazio perché l’emozione è palpabile. Non ci è mai capitato di assistere ad una mostra che parli di un evento così forte proprio mentre quell’evento sta scorrendo sulla pelle di ciascuno di noi.
E’ come se le persone che hanno vissuto una guerra si trovassero in un museo, proprio durante quella guerra, a vedersi raccontare. Purtroppo, con il passaggio in “zona arancione” della Liguria, la mostra è ora chiusa al pubblico. La si può visitare grazie alle immagini realizzate dal Teatro Nazionale, ma noi abbiamo deciso di raccontarvela con il video che vi presentiamo oggi, che abbiamo girato durante quell’immersione totale in una contemporaneità che, speriamo, possa finire presto.