“El pacto del Olvido” di Sergi Casero: la memoria spagnola ha qualche lampadina spenta

Sergi Casero (ph: Alessandro Sala)
Sergi Casero (ph: Alessandro Sala)

La migliore proposta di B.Motion è il debutto nazionale di un Live Works di Centrale Fies

“El pacto del Olvido” di Sergi Casero Nieto è stato selezionato da Centrale Fies nel 2021 tra gli studi da accompagnare nella Free School of Performance; presentato tra i Live Works del 2022, ha debuttato in forma compiuta ad OperaEstate Festival a fine agosto, ed è tornato a Dro ieri sera nell’ultima sessione (Enduring love) del festival estivo, mentre in autunno arriverà al Festival delle Colline Torinesi (il 31 ottobre e 1° novembre) e a Milano, ospite di Zona K (10-11 novembre).

Si tratta di un monologo che non può che conquistare per la pregnanza e l’attualità di una riflessione che travalica i confini e trova non pochi elementi di convergenza con la cultura italiana.
L’autore è un designer barceloneta che, applicando elementi della propria disciplina alla pratica performativa, porta in scena percorsi di indagine di natura storica e sociologica, mossi da una dialettica tra vissuto personale e storia collettiva, costruiti appoggiandosi a documenti storiografici e di cronaca, testimonianze orali, memorie soggettive e narrazioni condivise.

Spagna, 1975: Francisco Franco muore e con lui la sua dittatura. Viene ristabilito l’ordinamento monarchico seguendo le disposizioni del dittatore stesso e si apre il cosiddetto periodo “della transizione” verso uno Stato social-democratico. Nel ‘77 le prime elezioni, nel ‘78 una nuova Costituzione.
Tra il ‘75 e il ‘78 vengono emanate due leggi di amnistia per sancire un giro di boa rispetto al passato. Sono frutto del pacto del Olvido, il patto del silenzio o dell’oblio: un accordo informale stretto tra i partiti spagnoli di destra e di sinistra, concordi nel non appurare le responsabilità delle persecuzioni e delle violenze perpetrate dai franchisti durante la guerra civile e per tutta la dittatura; un’intesa che in qualche misura rievoca l’amnistia Togliatti, decretata nel nostro Paese nel 1946.
La scelta è motivata dall’esigenza di assicurare un decorso pacifico verso la democrazia in un clima di riconciliazione nazionale, senza riaprire vecchie e nuove ferite: si vuole avviare un nuovo capitolo della storia spagnola, senza determinare, rispetto al passato, nessun vinto né vincitore, nessun colpevole né vittima, ignorando coloro che il regime aveva oppresso e che attendevano di essere risarciti perlomeno nel riconoscimento della dignità del proprio vissuto.

Nel nostro Paese la trasmissione della memoria di momenti salienti della storia collettiva – come la Shoah, la Resistenza – a volte è data erroneamente per scontata, altre è messa in discussione rispetto alla sua opportunità, senza cogliere autenticamente il proprio valore aggiunto.
Lo spettacolo “El Pacto del Olvido” riflette invece su quali effetti produce il silenzio, la trasmissione transgenerazionale dell’oblio, la cancellazione della rilevanza di alcuni elementi storici determinanti nella costruzione dell’identità nazionale. Prendendone visione, a prescindere dal contesto di riferimento, abbiamo la possibilità di misurare la differenza tra avere o non avere memoria storica, con il suo portato annesso di riflessione critica e di consapevolezza civica, e perciò di rinnovare la persuasione della necessità di preservarla.

Sergi Casero Nieto nasce a Barcellona nel 1991. E’ ancora un bambino quando all’inizio del nuovo millennio le cose cambiano: nasce l’Associazione per il Recupero della Memoria Storica e si apre un dibattito pubblico per far emergere e divulgare maggiori dettagli sul franchismo. Eppure egli fiuta qualcosa di ancora indecifrabile per lui nella casa della nonna: non si può giocare con le medaglie militari del nonno; non si può intonare un ritornello che canzona Franco; non si può parlare di politica a finestre aperte. Ci sono croci in strada che segnalano vicende ignorate. Ci sono sensi di colpa e vergogna che sorgono senza consapevolezza del loro fondamento. Si cresce senza maturare la prontezza con cui sapere da che parte stare e riconoscere ciò da cui prendere le distanze.

Casero dà così voce ad una generazione, la sua, che chiede chiarezza sul passato per leggere anche alcune dinamiche del presente: è l’oblio di cosa abbia significato una guerra civile o l’oppressione di un dittatore che giustifica la leggerezza con cui, nel 2003, la Spagna ha inviato truppe in Iraq? E’ l’insensibilità nei confronti del vissuto dei perseguitati che oggi si riproduce nell’indifferenza con cui si registra il naufragio di migliaia di migranti?
La discussione non investe soltanto il piano delle scelte politiche ma si cala anche negli spazi più intimi: cosa implica non sapere di chi si è figli? Non poter appurare quali valori politici e sociali avessero i propri genitori o nonni? Non poter comprendere fino in fondo se siano stati schierati e conniventi oppure manipolati dalla propaganda e strumentalizzati?

Sul palco, una foresta di lampadine scende dai tralicci, sospendendosi ad altezze diverse: si accenderanno e spegneranno in modo differenziato, indicando l’inaccessibilità ad una chiarezza assoluta. Una consolle campeggia in proscenio sulla sinistra, affiancata da una lavagna luminosa e da un proiettore di diapositive a destra in posizione centrale.
Da quella postazione di regia, studio e memoria, Casero gestisce le luci e le proiezioni delle immagini sullo schermo calato sul fondale: fotografie, negativi, pagine di libri, mappe geografiche, sagome di oggetti appoggiati sulla lavagna luminosa. Il suo finisce quindi per essere un monologo in realtà aumentata senza V.R.

La drammaturgia si basa sulla ripetizione di innumerevoli ricordo che mescolano aspetti ordinari e a volte buffi delle memorie infantili ad altre più sfuocate che riguardano il mondo degli adulti e domande inevase.
Sergi riporta i frustranti tentativi di completare quei ricordi e colmare le zone d’ombra intervistando da adulto sia sua nonna, nata prima dell’affermazione del franchismo, che sua madre, divenuta donna ai tempi della transizione: in due momenti diversi ma simmetrici, ne ripercorre in sintesi le vicende personali, facendo scorrere diapositive che fotografano la loro esistenza trascorsa come “una vita normalissima”, in cui sembra che la Storia non abbia mai interferito. L’olvido, il silenzio, la preferenza per la dimenticanza e persino per l’astensionismo rispetto a prese di posizione politica, è un muro di gomma contro cui il protagonista si scontra drammaticamente, in primis in famiglia, e che interiorizza: di fatto, molte delle domande riportate sono state soltanto immaginate e mai davvero espresse.

Ma anche a scuola non va diversamente. I manuali scolastici non hanno certo sopperito al suo desiderio di conoscenza storica e di essi vengono proiettate pagine in cui è evidente l’elusione di quel nodo cruciale: le parole dittatura, regime sono state censurate, altre sostituite da eufemismi che ridimensionano il dato tragico della storia spagnola, le radicali contrapposizioni interne, l’entità della discriminazione dei dissidenti del regime; la stessa guerra civile viene presentata con un linguaggio equidistante per descrivere un conflitto tra fazioni presentante entrambe come legittime. Nessun riferimento al ruolo della Chiesa, ai 250 campi di concentramento, alle torture e alle punizioni pubbliche, alle fosse comuni e ai desaparecidos. Del dolore vissuto da migliaia di spagnoli non c’è traccia, e ciò viene restituito efficacemente da Casero proiettando delle foto di condannati a morte ed intervenendo su di esse dal vivo e producendo, forse con degli acidi, delle cancellazioni. Si intuisce che un fattore che tormenta l’autore è il dubbio che la sua stessa famiglia possa aver contribuito a legittimare quel dolore, senza rivalutare le proprie scelte, né dare peso alla propria responsabilità.
Più complessivamente, ciò contro cui si scontra il protagonista ci riguarda, ed è una versione ampiamente diffusa e alquanto discutibile in base alla quale la Storia si scrive da sé: una visione che da una parte giustifica la deresponsabilizzazione di chi ne è stato invece complice, in base a questa prospettiva coinvolto malgré-lui o con scarsa consapevolezza; dall’altra, alimenta una massiva zona grigia di cittadini passivi, ritirati da ogni dimensione di azione sociale e politica.

La performance ha un impianto minimalista, privo di ampie modulazioni, e un andamento molto uniforme, a cui il pubblico italiano poco è abituato. Lo sviluppo punta sulla variazione di elementi ricorrenti e condensa in modo palpabile il crescente disagio e la sensazione di scacco di chi conduce l’indagine.
L’intensità delle implicazioni, sia personali che generazionali, e la portata del costrutto visivo con cui la drammaturgia stabilisce un dialogo delicato ed integrante richiedono forse dimensioni più intime del Teatro Remondini di Bassano del Grappa per sollecitare un’adesione più coinvolta. Tuttavia si può affermare che la formula del teatro civile è qui rinnovata in modo riuscito in una cifra meno didascalica grazie a suggestioni evocative e a tratti liriche, ottenute ricorrendo alla rilevanza drammaturgica delle immagini e a scelte narrative non rigorosamente lineari.

El pacto del Olvido
di e con Sergi Casero
sviluppato nell’ambito del programma Live Works no9-Free School of Performance di Centrale Fies (Dro, Italia)
in collaborazione con il Centro de residencias Matadero di Madrid

Visto a Bassano del Grappa, Teatro Remondini, il 27 agosto 2023
B.Motion Teatro / OperaEstate Festival
Prima nazionale

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