54 minuti di intensità pura, a cui è impossibile rimanere indifferenti. Parliamo del documentario, girato e diretto da Clarissa Cappellani e prodotto dalla Pinup filmaking sul lavoro di Emma Dante e della Sud Costa Occidentale.
Una vertiginosa carrellata sulla carriera della regista palermitana, corredata dagli interventi di Gabriele Vacis, Rodolfo Di Giammarco ed alcuni attori della compagnia, ed impreziosita da alcune esclusive immagini di repertorio che vedono una giovanissima Emma Dante alle prese con le primissime e sconosciute creazioni della Sud Costa Occidentale.
Il documentario verrà proiettato domani sera alle 21 a Bologna, a Teatri di Vita, prologo ideale alle serate di sabato e domenica nelle quali sarà in scena “La trilogia degli occhiali”.
Parliamo di questo interessante lavoro con Clarissa e con il production manager Giorgio J.J. Bartolomucci.
Clarissa, come è nato questo progetto sul teatro di Emma Dante?
Ho conosciuto Emma Dante nel gennaio 2004 all’ex-carcere, un centro sociale nel centro storico di Palermo. Stava provando “Vita mia”: rimasi folgorata dall’interpretazione di Ersilia Lombardo e ascoltando le indicazioni che Emma dava agli attori sentii che lì dentro stava accadendo qualcosa di speciale. Io non mi ero mai occupata di teatro, mi ero da poco laureata in Lettere Moderne indirizzo Spettacolo, e avevo dato materie affascinanti come “Teoria e tecnica dell’attore” con il professor Roberto Ciancarelli; ma il mio unico interesse erano il cinema e la tecnica documentaristica. In fondo pensavo che tutto quello che avevo studiato su Grotowski & co. fossero “magie” che mai avrei ritrovato sulla scena né, a onor del vero, ho provato a cercarle nel teatro contemporaneo. Iniziando ad assistere alle prove di Emma ho trovato l’eco profondo di quello che avevo studiato, e il veder muovere una compagnia nel solco della più antica tradizione del teatro dell’attore mi ha acceso di curiosità.Assistevo alle prove, dunque, per puro interesse di vedere come si potesse fare nella pratica quotidiana quanto mi aveva appassionato sulla carta.Nello scorrere dei mesi, ho poi iniziato a comprendere le particolarità del lavoro di Emma Dante, la sua declinazione del teatro dell’attore, e solo allora mi è venuta l’idea di accendere la videocamera.
La forma documentaristica, e il tuo modo di declinarla sul lavoro di Emma Dante, penso smentisca felicemente quel luogo comune che di solito accomuna il teatro riprodotto su uno schermo alla noia. L’accostarsi con tale vicinanza al vissuto degli attori ed al lavoro di creazione dello spettacolo, più che alla messa in scena in sé, restituisce quell’energia viscerale, carica di tensione, che è propria della Dante.Trovo le sue prove estremamente cinematografiche, grazie al continuo e serrato scambio di battute tra la visionarietà e l’esigenza di Emma e la generosità degli attori. La parola “prove” può trarre in inganno: Emma Dante non “prova” uno spettacolo nel senso di ripetizione di un copione fin quando è incastonato nella testa degli attori, lei “crea” lo spettacolo insieme agli attori, attraverso il metodo dell'”improvvisazione”. L’improvvisazione è la chiave di volta del teatro dell’attore; ne avevo studiato pagine e pagine e pagine… ma vederla fare “dal vivo” è una cosa entusiasmante. Le prove di Emma infatti non annoiano mai, perché non sai mai quello che sta per accadere. Questa unicità di ogni singolo giorno di prova mi ha dato la misura di una occasione di ripresa: stando lì dentro c’era la possibilità di riprendere qualcosa che non si sarebbe mai ripetuto. Questa “occasione” è per me la misura che dà senso alla ripresa documentaristica. Se manca questa “occasione unica” allora il documentario non ha senso. Partendo dall’assioma universalmente accettato che le riprese di uno spettacolo sono nel 90% dei casi noiosissime, ho realizzato due documentari (uno su “Vita mia” e l’altro su “Cani di bancata“, dal titolo “Emma Dante – il gesto necessario”, del 2007) che raccontavano le prove attraverso improvvisazioni in cui veniva fuori il rapporto strettissimo che Emma intesse con i suoi attori e, per questa via, al posto di raccontare lo spettacolo e la sua trama, veniva raccontato soprattutto il suo metodo e la sua poetica. La costruzione narrativa era così più cinematografica, perché in primo piano c’era la costruzione vera e propria della drammaturgia e della regia, con tutti i suoi momenti di creatività fulminante ma anche le crisi, le difficoltà, il ragionamento insieme agli attori del senso di ogni singola scelta dello spettacolo.
Quali sono stati gli accorgimenti o le tappe di studio perché quell’energia presente nelle prove venisse restituita in tutte le sue potenzialità?
Regola fondamentale: essere invisibili. Costruire un rapporto di fiducia con i membri della compagnia, e non solo perché devono concentrarsi e il tuo girare intorno con la videocamera può distrarli. Devono fidarsi di te perché durante le prove Emma chiederà loro di tirar fuori quello che di peggio hanno dentro, senza pudore, senza imbarazzi. Questo atto d’amore fra l’attore ed Emma è la perla da cogliere con estrema cautela con la videocamera. Io giro con una macchina solamente, ma quello a cui punto è ricreare la tensione del rapporto nell’improvvisazione. Sto quindi attentissima a seguire il dialogo, perché poi al montaggio voglio ricreare lo scambio di battute: voglio che lo spettatore si senta lì in mezzo. Giro con la macchina a spalla ma elimino qualsiasi movimento convulso perché dichiarerebbe una presenza estranea che potrebbe deconcentrare sia gli attori ed Emma, sia lo spettatore del documentario se venisse montata. Ragiono e filmo, quindi, a stacchi serrati.
Le impressioni di Emma dopo averlo visto?
Le impressioni di Emma quando rivede questo documentario sono tantissime. Ripercorrere 12 anni di carriera in 54 minuti toglie il fiato, immagino. All’interno ci sono dei brani di repertorio introvabili della Emma attrice: figurati cosa ha provato rivedendoli!
Giorgio, ci dai qualche informazione in più sulla Pinup filmaking? Sia per ciò che ha riguardato la produzione di questo documentario sulla Dante sia in merito alla sua distribuzione, immagino non priva di difficoltà.
La Pinup filmaking è una società di Roma che ha, nella sua breve vita, abbracciato la via del documentario, proponendo lavori strutturati per raccontare prospettive e spunti di riflessione sul nostro paese. Nel caso di “Emma Dante Sud Costa Occidentale” la produzione è stata supportata dalla passione di Clarissa e di Danilo Romancino, fonico di presa diretta, che hanno messo in gioco la propria professionalità per portare a termine un lavoro particolarmente complesso. Durante il nostro cammino siamo riusciti a coinvolgere altre realtà produttive indipendenti (Arapàn Cinema Documentario, Dugong, Angeli con la Pistola) che, sensibili alla testimonianza che stavamo offrendo, ci hanno dato l’opportunità di supplire a dei buchi produttivi. Per non tralasciare nessuno, è doveroso citare il contributo di Iacopo Zanon, che ha dato sponda a Clarissa nello sviluppare una linea di racconto, e di Donye, montatrice del documentario. Per quanto riguarda la distribuzione, ci stiamo scontrando con le difficoltà che solitamente un prodotto come il documentario incontra nel nostro Paese: tra festival, televisioni e distribuzioni, sono tanti i complimenti che si ricevono e poche le opportunità che si ottengono.Ad oggi il documentario è stato acquistato da Classica, canale della piattaforma Sky, e siamo in attesa di risposte da vari festival nazionali e internazionali. L’obiettivo rimane teso a dare la maggiore diffusione possibile al documentario, considerando che l’organizzazione di proiezioni con il contributo di associazioni e realtà interessate ai temi sembra essere il canale più dinamico di diffusione di questo lavoro.
Clarissa, oltre al lavoro sulla Dante (in un estemporaneo, se così possiamo dire, ruolo da regista) hai firmato la fotografia degli ultimi due film di Sabina Guzzanti: “Draquila – L’Italia che trema” e “Franca la prima” (documentario su Franca Valeri di prossima uscita). Cosa ci aspetta dopo?
Come regista ho realizzato questo documentario su Emma Dante perché sentivo la necessità di raccontare una storia che, in parte, ho vissuto, ma non mi considero una regista. Io faccio la direttrice della fotografia e mi occupo soprattutto di documentari. L’ultimo mio lavoro si intitola “1982 l’estate di Frank” di Salvo Cuccia, un documentario su Frank Zappa girato insieme ai figli Dweezil e Diva, e prodotto da Abra & Cadabra per Rai Educational. Il caso vuole che vada in onda proprio domani, 20 gennaio [su Rai Storia alle 20 e su Rai Tre il 26 gennaio, dopo il Tg3 della notte N.d.r.], come la proiezione del documentario su Emma a Teatri di Vita.
Ora vi lasciamo al trailer (solo un assaggio di un documentario che consigliamo a tutti di vedere nella sua forma integrale), ma che rende perfettamente l’idea di quella carica emotiva a cui abbiamo fatto riferimento durante questa conversazione. Buona visione!