Lo abbiamo incontrato a Milano dopo una replica del suo ultimo spettacolo, “Ero”, curiosi di vederlo in scena in un monologo che non ha deluso le aspettative. Uno spettacolo intimo e immaginifico, come quasi sempre accade nei lavori di César Brie, un viaggio attraverso le vicende annidate dietro grandi parole come amore, morte, assenza, dolore, gioia…
Il pubblico lo circonda in un ampio abbraccio che travalicando la platea sale sul palco, fin dietro le sue spalle. Una scelta di cui ci ha parlato anche nella breve chiacchierata, durante la quale ci ha addirittura ringraziato per essere presenti, cosa che, ha confessato con un po’ d’amarezza, nessun’altra testata giornalistica ha fatto nei tanti giorni di programmazione a Campo Teatrale.
E’ sempre un piacere confrontarsi con una vita così intensa, scandita dai ritmi di un teatro che non lascia niente al caso e che porta negli occhi il vissuto di tanti momenti storici importanti in altrettanti Paesi, dall’Argentina (dove è in questo periodo, per la tournée di Karamazov, che dal 27 al 29 marzo sarà a Buenos Aires) all’Italia, dalla Danimarca alla Bolivia. Una storia tanto vissuta quanto raccontata, soprattutto agli attori che vivono con lui momenti formativi che ne hanno fatto, negli ultimi anni, uno dei pedagoghi più importanti della scena milanese e non solo.
Eppure quella centratura costante nella realtà culturale del suo tempo non lo lascia sicuramente sereno, traspare amarezza dalle battute scambiate, delusione soprattutto quando si parla di giovani, di opportunità in Italia e di sale vuote.
Proviamo a chiedergli se non sia colpa anche di tanto teatro troppo autoreferenziale, che allontana invece di avvicinare, ma ci risponde che tutto il teatro fa bene, ognuno con le sue caratteristiche…