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L’estate del Teatro della Tosse: intervista a Emanuele Conte

Emanuele Conte

Emanuele Conte

Presidente e regista residente della Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, Conte ci racconta il programma della stagione estiva tra fortezze, parchi e borghi all’insegna di un teatro immersivo

Regista, drammaturgo, scenografo, presidente e componente del comitato artistico della Fondazione Emanuele Luzzati – Teatro della Tosse (insieme ad Amedeo Romeo e a Marina Petrillo), intervistiamo Emanuele Conte per parlare della stagione estiva che animerà ancora una volta i bellissimi spazi del Parco Storico Villa Duchessa di Galliera di Voltri con la nuova produzione “Oniricon – sogni che camminano nel bosco”, il pittoresco borgo di Apricale ad agosto con “Orlando d’amore furioso”, il Forte San Giovanni di Finale Ligure con “Shakespeare by night” e il quartiere San Nazario di Varazze con la “Parata di Pinocchio”.

Iniziamo parlando dell’immersività che caratterizza la tua produzione. Perché questa scelta?
Innanzitutto perché mi piace, mi diverto. E poi perché ci dà la possibilità di lavorare molto creativamente.
Per me, come drammaturgo e regista, perché lavoro su tante storie ed ogni storia deve essere autonoma, completa: è come comporre tanti spettacoli in uno.
Per gli attori perché questa intimità con gli spettatori richiede una grande capacità di coinvolgimento, un potere di fascinazione immediato, tempi estremamente precisi.
In questo momento storico, in cui la comunicazione è quasi del tutto filtrata dall’immaterialità del web, il pubblico del nostro teatro è cresciuto tanto, sotto ogni punto di vista.

Secondo te perché?
Fondamentalmente le persone hanno bisogno di contatto, fisicità, comunione, hanno bisogno di sentirsi insieme. Un teatro immersivo, fatto di sguardi e di relazione, senza palcoscenici e senza troppi orpelli, fa entrare, ti avvolge, ha bisogno di te, funziona così, senza alcuna barriera tra spettatore e attore.
Nasce un rapporto quasi confidenziale ed esclusivo con l’attore, e a me piace così; infatti, pur scendendo a patti con le ovvie esigenze di produzione, sto cercando di lavorare da un po’ di tempo su gruppi piccoli di spettatori, verso un’immersività che sia anche intimità, ad incarnare quasi un bisogno di socialità delle persone. Se le messe non ci sono più, c’è rimasto il teatro.

Parliamo della nuova produzione, “Oniricon”, in programma dal 4 al 28 luglio nel Parco Storico di Villa Duchessa di Galliera. Di cosa parla?
“Oniricon” è chiaramente una parola inventata che strizza l’occhio al greco e vuole restituire da subito quella dimensione inafferrabile, misteriosa ed antica del “sogno”, che tanto assomiglia a quella del teatro. Ma tutto sta nel sottotitolo: “Sogni che camminano nel bosco”. Saranno gli spettatori a camminare nel bosco del parco e, nel farlo, incontreranno, come per caso, un’epifania di personaggi in un percorso in cui si confonderanno realtà e immaginazione, sognati e sognatori, spettatori ed attori.

Ti sei quindi ispirato alla mitologia greca?
Sì, penso a Morfeo, Penelope, Danae… ma non solo. Anche a Don Chisciotte, a Mary Shelley, e a un sonnambulo incapace di sognare o a grandi poeti di tutti i tempi. Ogni storia ed ogni stazione danno vita ad un quadro indipendente, un approfondimento a sé, anche dal punto di vista della scrittura, che spesso mette in connessione le diverse epoche.
I nostri spettacoli estivi raggiungono un pubblico così ampio ed eterogeneo che i testi vanno pensati e calibrati con attenzione, devono trovare la forma giusta, e mi piace sempre proporre qualcosa in cui il pubblico si possa ritrovare, che parli del presente attingendo al passato, che sia un valore di tutti e a tutti accessibile.
Ecco perché nelle ultime due produzioni – sia nell’Orlando che in questo nuovo Oniricon – non sono riuscito, per esempio, a non parlare della guerra, ovviamente all’interno della metafora: a me non piace sbattere in faccia il problema e sentirmi “migliore”, preferisco parlarne attraverso la letteratura, i personaggi del mito, della storia.
In “Oniricon” la riflessione sulla guerra sarà affidata a Danae che, come in un sogno, vede l’avvenire, e al nascituro Perseo spiega il futuro della guerra, la guerra dei nostri giorni, quella in cui le vittime non sono più tra i soldati e gli eserciti ma soprattutto tra i civili, una guerra in cui non c’è più spazio per eroi, miti, epica.

Nello spettacolo dici che non farete uso di scenografia…
Mi piace semmai parlare di “ambientazioni”, e un ruolo particolarmente importante è affidato ai costumi, qui firmati da Danièle Sulewic, e alle luci di Andrea Torazza e Matteo Selis.
Questa scelta di “ambientare” piuttosto che di “scenografare” è l’altra caratteristica del teatro immersivo; un teatro che incontra i luoghi, li abita con garbo, li rende parte attiva del lavoro e li fa scoprire, aumentando anche così il livello di coinvolgimento del pubblico.

Si percepisce la vostra abilità nell’abitare gli spazi pubblici. In questo senso, pensi che il vostro lavoro abbia una valenza anche civica?
Sì, l’identità del Teatro della Tosse è profondamente caratterizzata dal teatro fuori dal teatro; abbandonare gli spazi più neutri delle sale teatrali per “abitare” luoghi reali come castelli, boschi, spiagge, chiese, fabbriche dismesse o interi paesi è una cifra ed una scelta artistica che ci accompagna davvero da tantissimo tempo, e certamente è diventato uno dei nostri tratti distintivi.
Negli anni ho conosciuto tantissimi posti meravigliosi, grazie a questo lavoro.

Ne ripercorri qualcuno?
Ho fatto la prima scenografia fuori dal teatro nel 1993 a Forte Sperone, e poi mi sono sempre occupato delle ambientazioni, come per il grande allestimento alla “vecchia” Fiumara del 1998 con “I Persiani” di Eschilo, ambientati dentro i vecchi capannoni industriali dei primi del ‘900, poi drammaticamente distrutti per lasciare il passo ad un centro commerciale.
Anche quest’estate proseguiamo in questa direzione.

Ricordaci gli altri appuntamenti.
Siamo appena stati a Finale Ligure, dopo tanti anni, con “Shakespeare by night” dentro al Forte San Giovanni, una fortezza costruita dagli Spagnoli nel Seicento, con spettacolari mura a tenaglia e una splendida vista su borgo, valli circostanti e mare.
Domani, 21 giugno, a Varazze è in programma una “Parata di Pinocchio” che invaderà le strade del quartiere san Nazario con musiche dal vivo, comicità, attori, musicisti, trampolieri e i meravigliosi costumi realizzati dalla sartoria del Teatro, sui bozzetti originali disegnati di Bruno Cereseto, Guido Fiorato ed Emanuele Luzzati per le diverse edizioni di Pinocchio portate in scena dal 1975 a oggi.
E ad agosto torneremo, dal 7 al 17, con “Orlando d’amore Furioso” ad Apricale, il borgo dell’imperiese dove da più di trent’anni incontriamo ogni estate migliaia di spettatori.

Il prossimo anno ricorrerà un anniversario importante, il cinquantenario dalla nascita del Teatro della Tosse, fondato da tuo padre Tonino Conte ed Emanuele Luzzati. Cosa ti porti dietro di buono degli scorsi 50 anni?
Sinceramente non credo che questo lavoro si possa fare fino a 70-80 anni. Arriva un momento in cui le cose è giusto che cambino, io personalmente non voglio fare gli errori di mio padre. Penso che dopo il cinquantenario, nel giro di alcuni anni, arriverà per me il momento in cui lascerò il mio ruolo. Mi piacerebbe, tuttavia, portare avanti il lavoro degli spettacoli estivi, perché è la cosa che più mi soddisfa, che mi piace, che faccio da tanto e che contraddistingue non solo la storia della Tosse ma anche il mio lavoro, avendo io iniziato giovanissimo proprio con gli spettacoli estivi, passando da tutte le mansioni professionali.

Cosa ti auguri quindi per i prossimi 50 della Tosse?
Vorrei che il Teatro della Tosse non crescesse troppo, mantenendo questa atmosfera “familiare” che ci caratterizza, mi piacerebbe che il pubblico continuasse a notare e a vivere questa atmosfera, mi piacerebbe che il teatro continuasse a fare teatro per tutti, e non solo per se stesso, mi piacerebbe che ci continuassero ad essere sempre persone, registi, operatori che vi lavorino e abbiano il senso e il piacere di fare qualcosa insieme.

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