Alla rassegna L’altra scena di Piacenza l’ultimo spettacolo del drammaturgo emiliano, scritto in un momento particolare: era gennaio 2020, lui era appena diventato padre, e stavamo per scoprire da vicino cosa sono una pandemia e un lockdown
“Vedrete che dopo la pandemia saremo tutti migliori” continuavamo a dire mentre eravamo rinchiusi in casa aspettando di poter uscire fuori di casa, sicuri di un avvenire più fecondo di felicità. “Lo vedrete, questa terribile prova ci forgerà l’anima, facendoci più compassionevoli verso gli altri”, ci si aggiungeva, augurandocelo.
Ma è stato veramente così, oppure l’essere umano è interiormente immutabile e, pur mosso a volte dalle più nobili intenzioni, mantiene sempre in sé il germe della contraddizione? Dunque l’egoismo, così insito nella nostra anima, non ci permetterà mai di disegnare un mondo accettabile?
Si fa queste domande, non fornendo nessuna risposta ma lasciando ulteriori questioni aperte, “L’estinzione della razza umana”, spettacolo che aveva debuttato a maggio allo Stabile di Torino (che l’ha coprodotto) e che abbiamo visto al Teatro Filodrammatici di Piacenza per la rassegna “L’altra scena” curata da Iacopo Maj per Teatro Gioco Vita.
Lo spettacolo è il nuovo lavoro scritto da Emanuele Aldrovandi, che ne ha curato anche la regia, prendendo spunto, come fa del resto spesso nei suoi lavori, dall’attualità. Partendo infatti da una metafora che rimanda a situazioni reali (i ritmi frenetici delle nostre vite, la mancanza di tempo per la riflessione…) e a disagi con cui abbiamo dovuto ahinoi convivere, ma andando ben oltre, lo spettacolo ci pone davanti un mondo che deve adattarsi, suo malgrado, a un virus molto particolare, che ha la caratteristica di tramutare gli esseri umani in tacchini.
Così come è successo a noi in un periodo recente, le persone sono quindi obbligate per decreto a restare chiuse in casa e a non uscire se non per motivi di lavoro o di comprovata urgenza.
Il microcosmo preso in esame dallo spettacolo è un condominio abitato da un umanità che si muove in situazioni in cui ogni spettatore può rispecchiarsi, avendone in qualche modo fatto parte, e mostrandone – attraverso il teatro – le peculiarità.
Il primo personaggio che incontriamo è Mario, che scende in cortile per ritirare l’ennesimo pacco arrivato per la moglie, e che si imbatte in Andrea, che avrebbe l’intenzione di andare a correre, se non fosse proprio per Mario che, adducendo ragioni di sicurezza, non ne vuole sapere di lasciarlo uscire.
Nell’acceso diverbio che ne nasce, spesso interrotto dall’arrivo di un corriere che – pur malato – consegna i pacchi per non perdere il lavoro, partecipano anche le rispettive consorti, la distruttiva Giulia, compagna di Andrea, e Anna, la moglie di Mario, che ha appena partorito e che apparentemente sembra colma di speranza per un futuro migliore.
Il cerchio si chiude con l’arrivo di un medico, anche lui abitante nel palazzo, di ritorno da un lavoro per lui sempre più gravoso. Pian piano scopriamo quindi che tutti i personaggi che vivono in quel caseggiato, nell’acceso scambio di idee, riflessioni, speranze e disillusioni che attraversa lo spettacolo (e che spesso esula dalle difficoltà contingenti per entrare in un privato altrettanto difficoltoso), hanno dalla loro, in momenti diversi, torto e ragione, avendo ognuno dentro di sé delle fragilità nascoste che vengono a tratti spiattellate sul palco.
Così ognuno reagisce come può, addossando agli altri le proprie colpe, e trovando giustificazioni ad un maldestro operare.
Nella scrittura di Aldrovandi, spesso non esentata da una corroborante e surreale ironia, la pandemia risulta essere un mero pretesto per scavare nella profondità dell’essere umano, che forse avrebbe bisogno di una vera e propria rifondazione, prima che sociale, intimamente emozionale, per non soccombere ad un’epidemia ben più reale di quella che intuiamo essere presente nel mondo che circonda i nostri personaggi, e purtroppo anche noi.
Molti sono i riferimenti presenti nel testo: da “Il dio del massacro” di Yasmina Reza, proposto anche al cinema da Roman Polanski in “Carnage”, a “Il Rinoceronte” di Eugène Ionesco.
La scoppiettante scrittura di Aldrovandi parla più che mai al presente, al nostro sentore di esseri umani contemporanei in cerca di nuovi valori di cui non intuiamo ancora i veri contenuti.
La scenografia di Francesco Fassone, in cui si muovono gli efficacissimi Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia e Riccardo Vicardi, coinvolti in una scrittura verbale spesso concitata e non certo facile da trasmettere, ricostruisce un caseggiato che rimanda ad una prigione composta da reti e qualche finestra che, una volta fugacemente aperta, si chiude rapidamente, e che ogni volta, quando un estraneo vuole penetrarvi, si colora di rosso, annunciando il pericolo.
Ma è il pervinca il colore che invade ogni cosa, rendendo tutto piatto e uniforme; e forse sarà solo un povero tacchino a portare finalmente un nuovo e tonificante universo di colori.
L’ESTINZIONE DELLA RAZZA UMANA
testo e regia di Emanuele Aldrovandi
con Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia, Riccardo Vicardi
con la partecipazione vocale di Elio De Capitani
scene Francesco Fassone
costumi Costanza Maramotti
luci Luca Serafini
consulenza progetto sonoro GUP Alcaro
maschera Alessandra Faienza
progetto grafico Lucia Catellani
aiuto regia Giorgio Franchi
musiche Riccardo Tesorini
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Associazione Teatrale Autori Vivi
In collaborazione con La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna
durata: 1h 20′
Visto a Piacenza, Teatro Filodrammatici, il 10 ottobre 2022