Nel calcio si definisce “uomo-squadra” il metronomo tra undici giocatori, quello che fa girare ogni compagno secondo sincronismi perfetti per il successo del gruppo.
Calcio e teatro sono spettacoli differenti. Ma la metafora rende l’idea di ciò che Enrico Ianniello riesce a fare in “EterNapoli”, monologo tratto dal romanzo “Di questa vita menzognera” di Giuseppe Montesano (Feltrinelli 2003, Premio Letterario Viareggio-Repaci) che abbiamo visto al Teatro Franco Parenti di Milano.
Qui metronomo e calciatori sono racchiusi in un’unica figura: un attore, undici personaggi. Autore della drammaturgia con lo stesso Montesano, Ianniello, regista e interprete, anima una divertente carrellata di voci e ruoli.
“EterNapoli”, pranzo che da Pasqua arriva a Natale, è un trimalcionico pot-pourri di capretti grondanti sangue, bimbe-Salomé, vongole, purpitielli e ostriche. Un affresco corale di varia napoletanità.
Una poltrona a mo’ di trono è l’unico oggetto scenico dello spettacolo, che usa il fondale trasparente e luminoso come schermo per ombre cinesi. È una drammaturgia del colore evocativa d’atmosfere e stati d’animo. C’è la musicalità polifonica di una lingua immortale.
Ianniello è mattatore nella villa settecentesca dei Negromonte, famiglia d’imprenditori senza scrupoli vicini alla camorra. Capofamiglia e parentado vivono tutti nel mito demodé di un presunto fasto borbonico. Sono circondati da una grottesca corte di ecclesiastici, precettori e segretari. Sognano di trasformare Napoli in EterNapoli, fantasmagorico parco tematico in cui la realtà diventa spettacolo, e i cittadini personaggi di un’esilarante sceneggiata.
In questo redivivo “Truman show”, la cultura è optional asservito al profitto. Non a caso la madre di Roberto (uno dei protagonisti) accusa il figlio di aver buttato gli anni migliori nella più inutile delle lauree, quella in Conservazione dei Beni Culturali.
Ma il denaro è potente strumento di seduzione. Presto lo stesso Roberto soccomberà agli adescamenti di Cardano, che ostenta eleganza dei modi e nel vestire, individualismo, ironico distacco dalla realtà, rifiuto della mediocrità borghese.
Insolenza e impertinenza sono tratti comuni a quasi tutti i personaggi della storia, attratti dalle sirene della ricchezza. Un patinato delirio di modernità denuncia con ferocia le contraddizioni socio-politiche ed economiche di una Napoli e di un’Italia che collassano su sé stesse.
Dopo il successo di “Jucature” – adattamento del testo catalano di Pau Mirò di cui era autore, regista e attore –, e dopo i cammei di film come “Habemus papam” e “Mia madre”, e un ruolo da protagonista in “Un passo dal cielo”, Ianniello porta in scena un racconto affascinante, comico e terribile. Sono dialoghi forti tra personaggi che si distinguono l’uno dall’altro per dettagli appena percepibili: un tic, una camminata, una moina, una lieve inflessione della voce. I bozzetti non sono mai caricati. La bottega degli orrori non degenera in pantomima.
Non era facile demarcare tempistiche, archi narrativi, enfasi dei singoli momenti e personalità dei personaggi usando la sola voce, senza neppure ricorrere all’ausilio dei travestimenti. E non è scontato che il pubblico sappia sempre orientarsi nelle varie situazioni, senza perdere il filo della pièce.
Rimane la sensazione di uno spettacolo ben orchestrato, di una prova d’attore maiuscola, che dà fiato alle molteplici e contraddittorie voci nascoste dentro ciascuno di noi.
Fino al 13 dicembre al Piccolo Bellini di Napoli.
ETERNAPOLI
tratto dal romanzo “Di questa vita menzognera” di Giuseppe Montesano
drammaturgia Giuseppe Montesano ed Enrico Ianniello
con Enrico Ianniello
regia Enrico Ianniello
foto Alessia Della Ragione
produzione: Teatro Franco Parenti / Teatri Uniti
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 1’ 30”
Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 28 novembre 2015