Etienne Saglio, il felice incontro di tecnologia e teatro

Etienne Saglio (photo: teatroacorte.it)
Etienne Saglio (photo: teatroacorte.it)

Ci voleva un mago. Un illusionista.
E forse non a caso, perchè il tema di ciò che appare e scompare, l’immateriale, a questa branca dello spettacolo dal vivo è più consona. E così finalmente, andando oltre gli abusati e spesso inutili inserti video negli spettacoli, fruiamo nell’edizione di quest’anno di Teatro a Corte di uno spettacolo che, come tutti quelli belli di ibridazione dei linguaggi, è di fatto indefinibile per genere e specie, ma incorpora nuclei riconoscibili di linguaggi storici del teatro di figura, dell’arte dei muppets, ma anche la grandissima maestria dell’illusione, per concludersi in un brillante e mai così vivo dialogo fra uomo e impalpabilità digitale, che si propone inspiegabile e misteriosa, ma al contempo semplice e poetica davanti ai nostri occhi.

Lui è Etienne Saglio, giovane ma già sofisticatissimo maestro della nuova magia, giocoliere, manipolatore e illusionista. Dopo i successi risalenti ormai a diversi anni fa di “Le soir des mostres” del 2009 con Raphaël Navarro, e del 2011 con “Le silence du monde / Installation Magique”, ha proposto per la prima volta in Italia nell’edizione 2016 di Teatro a Corte, “Les Limbes”, creazione di assoluta originalità e grande poesia.

Come tutte le cose veramente poetiche è realizzata con poco. E questo è un tema cruciale rispetto a moltissime messe in scena che abbinano tecnologia e scena. Anzi, il paradosso di questo spettacolo è che il sostrato tecnologico è probabilmente imponente, ma di fatto invisibile, degno del miglior illusionista, e l’unica percezione digitale chiara è un ologramma attraverso cui il protagonista si sdoppia. Ma l’artificio non è fine a sé stesso, anzi, fa capolino creando una realtà prossima al reale, ma che via via si amplifica in una dimensione onirica.

Il teatro Astra di Torino è all’uopo oscurato fino a diventare una vera camera oscura, dove null’altro filtra se non la luce dei fari e delle tecniche. Il buio totale fa acquistare al palcoscenico una profondità infinita.

Lo spettacolo non ha una trama narrabile: inizia con l’interprete che entra in scena con un burattino di grandezza quasi umana di cui sono visibili la testa, quasi mostruosa (che potremmo un po’ avvicinare a quella del Freddy Krueger di “Nightmare” per dare un’idea, ma senza l’accento horror), e un lungo cappotto rosso.
Fra questa entità angosciante cui l’interprete umano dà vita quasi come un incubo, dopo una fase amichevole e di scoperta reciproca inizia una lotta che diventa davvero disumana e che vede soccombere l’uomo al demone cui lui stesso dà vita.
A questo punto l’ambiente diventa una sorta di limbo, ci si inizia a chiedere se le figure, reali ed immaginarie che abbiamo davanti siano davvero esistenti.

Come il titolo dello spettacolo stesso suggerisce, ben presto prende il sopravvento un sentimento di indeterminata e angosciante stasi, come se quanto presente in scena fosse mosso da un alito di vento sovrumano. Una sensazione di leggerezza e inconsistenza amplificata dall’apparire di un enorme foglio di plastica trasparente, di quelli leggerissimi, che qui diventa spirito, inconsistenza in balia di un anemos, che avvolge il protagonista e con cui lui stesso gioca, mentre il foglio inizia a fluttuare in balia di forze invisibili.

Di contro, l’esistere del protagonista appare via via una condanna: pare morire in scena numerose volte e sempre resuscitare, tanto che ad un certo punto lo spettatore assiste alla quasi compresenza del protagonista umano, del suo ologramma, di un fantoccio che ne riproduce le sembianze e (apparentemente) persino di un altro attore che fa da sosia.
Mentre le soavi ed inquietanti note del “Nisi Dominus” di Vivaldi raccontano un ambiente emotivo effimero ma quasi sacro, il limbo apre la sua botola per far precipitare il protagonista nel sottoscala della vita, con il corpo che dal soffitto atterra davanti ai nostri occhi. E’ un fantoccio, ci diciamo, e tale ci appare. Ma poco dopo inizia a muoversi, e rimaniamo in questo, come in altre sequenze dello spettacolo, straniati dal momento magico, che qui diventa ultraterreno.
In questo non-racconto, in cui il burattino iniziale appare e scompare quasi fosse un demonio tentatore, il nostro umano, troppo umano protagonista rimane sospeso, quasi condannato a vivere ma in un turbinare vero e proprio di presenze e anime che gli si accaniscono contro, piccole buste che come d’improvviso prendono vita e diventano pipistrelli trasparenti che si lanciano contro il povero, piccolo uomo.
Un tormento cui assistiamo e di cui diventiamo empatici, quasi che questa anima tormentata trovi in noi una corrispondenza, raccontando le nostre diverse vite, le nostre fatiche, le cadute e le risalite, le lotte contro i fantasmi, i nostri uno, nessuno e centomila.

Se dal punto di vista puramente relativo al tempo scenico, nel finale l’argomento narrativo torna ad insistere su qualche nota già riverberata, dando una leggerissima sensazione di sazietà, nel complesso la creazione è sontuosissima e riporta su questo stesso palco, per certi aspetti, le atmosfere di “For rent” di Peeping Tom, visto a Teatro a Corte nel 2012: il confine fra sogno e realtà, l’assistere a qualcosa che per un verso non vorremmo vedere e per altro non riusciamo ad allontanare, una sensazione di silenzioso allarme che dall’interno ci richiama a riprendere coscienza di noi. Come se, nella visione, anche la nostra anima fosse catturata e trascinata via in un Purgatorio buio, senza vie d’uscita, oscuro ed eterno, dove sì, forse la tecnologia sarà pure tanta, ma alla fine quello che resta è un sentimento di incertezza umanissimo e teatrale, dove la lievità, l’inconsistenza, anche se soffiata da macchine, animata da dispositivi radiocomandati, ologrammi o pure meccanismi di illusione ottica, contribuiscono non ad un’inutile ostentazione dell’apparato della tecnica, ma all’esaltazione di una sensazione che alla fine pervade il pubblico, a sciogliere la quale arriva con il buio finale un lungo, lunghissimo applauso.

Lo spettacolo, che ha senz’altro bisogno di una tecnica importante e di maestranze di supporto esperte, saremmo contenti trovasse altre occasioni per essere presentato al pubblico italiano, su palcoscenici non meno importanti.
Dentro ci abbiamo visto Amleto e Vitangelo Moscarda, il nuovo teatro fisico e la tradizione dei burattini, la magia dell’attore e la potenza della tecnologia, non fine a sé stessa ma finalmente al servizio della poesia (e non viceversa, come quasi sempre accade). Imperdibile, forse la migliore proposta dell’edizione 2016 della bella rassegna che si svolge nelle dimore sabaude e uno dei migliori spettacoli stranieri visti in Italia nell’anno.

LES LIMBES
Creazione e Interpretazione Etienne Saglio
Scrittura e sguardo esterno Raphaël Navarro
Scrittura Valentine Losseau
Luci Elsa Revol
Direzione di scena Laurent Beucher, Vasil Tasevski, Simon Maurice
Recitazione Albin Warette
Costumi Anna le Reun
Musiche Oliver Dorell
Direzione di produzione Géraldine Werner
Amministrazione, produzione e diffusione Ay-Roop
Monstre(S) In Coproduzione e con L’aiuto di Festival Mettre En Scène (Structures Associées : Théâtre National de Bretagne À Rennes, le Carré Magique Pôle National Des Arts Du Cirque À Lannion, Théâtre le Grand Logis / Ville de Bruz), le Tjp – Cdn D’alsace En Partenariat Avec le Maillon Théâtre de Strasbourg, la Brèche Pôle National Des Arts Du Cirque À Cherbourg, le Creac Pôle National Des Arts Du Cirque Méditerranée, la Faïencerie Théâtre de Creil, Epcc le Quai À Angers, L’espace Jéliote À Oloron-Sainte-Marie, L’espace Jean Vilar À Ifs, la Méridienne Scène Conventionnée de Lunéville, L’estran À Guidel. Con Il Sostegno di Ministère de la Culture et  de la Communication – Dgca et  Drac Bretagne, de la Région Bretagne et  de la Ville de Rennes

durata: 60′
applausi del pubblico: 2′ 35”

Visto a Torino, Teatro Astra, il 14 luglio 2016
Prima nazionale

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