Être: prima tappa alla ricerca della rete. Il ritratto della salute di ATIR

Chiara Stoppa
Chiara Stoppa
ÊtreChiara Stoppa ne ‘Il ritratto della salute’

Un nome che, per tante compagnie milanesi e lombarde, suona e risuona da anni negli ambienti teatrali, ma pochi sanno darne una definizione. Perché chi vi partecipa sembra un alieno venuto da un altro mondo, e chi non vi partecipa si sente escluso da un giro che ancora non ha ben capito come funziona.

Être è un progetto ispirato all’Europa, che circola dal 2007 ma sta iniziando davvero a funzionare ora, in un’Italia dove lo scambio, la cultura e l’internazionalità delle voci ancora stenta a farsi strada. Il progetto (mirabile) nasce con l’obiettivo di dare spazio alle compagnie lombarde di produzione sfruttando il meccanismo della residenza teatrale, in accordo con gli enti pubblici. Per intenderci: la compagnia si accorda col teatro o con uno spazio del Comune in cui vive per gestirlo per qualche anno, e valorizza un luogo, lavorando su un territorio che altrimenti sarebbe “sprecato”. L’intervento economico della Fondazione Cariplo, per i progetti vincitori del bando, fa il resto. Un buon modo per far circolare idee, compagnie e possibilità per tutti quegli artisti che producono, fanno e lavorano ma non hanno spazi per esprimersi e cercano disperatamente una sede.

La Fondazione ritiene che l’avviamento di un sistema di residenze, non necessariamente vincolato a modelli rigidi, consentirebbe di normalizzare la situazione di molte compagnie teatrali, dando loro gli strumenti per sviluppare una politica coerente di insediamento sul territorio e per crescere professionalmente sia sul piano artistico, sia su quello organizzativo.

Un comitato di esperti garantisce la qualità del lavoro delle compagnie, permettendo una buona circuitazione artistica e lo sviluppo di progetti ad hoc, ai quali le compagnie possono aderire o meno, sulla base dei loro interessi artistici. Ma qual è la novità? È che fino ad ora Être era un mondo che non poteva espandersi, perché vincolato ai gruppi teatrali vincitori del bando della Fondazione Cariplo del 2007.
Adesso Etre cerca invece nuovi associati, e questa è una buona opportunità per tutti. Difficile comunicare Etre, ci racconta Cristina Carlini, una delle coordinatrici dell’associazione, perché tutti conoscono e riconoscono le compagnie teatrali ma pochi sanno che l’associazione, soprattutto, coordina e gestisce progetti di grande portata, che hanno tutti un respiro internazionale.

Come quello di portare le compagnie al Fringe di Edimburgo. Come il grande festival in programmazione per marzo del 2012, già in preparazione. Difficile anche che tutte le compagnie che aderiscono vengano trattate allo stesso modo, non da Être, ma da stampa e pubblico, che spesso poco conosce e approfondisce.
Klp sarà qui per questo. Per seguire, da ora a settembre e con una ripresa autunnale, cosa faranno le compagnie di Être, e vedere come funziona. Senza remore. Con pregi e difetti. Ma certo con la voglia di dare voce e respiro a un progetto che sa di apertura e voglia di cambiamento.

Abbiamo iniziato con “Il ritratto della salute” di Chiara Stoppa e Mattia Fabris, della compagnia A.T.I.R., inserito e promosso da Etre nel Festival Mixitè dello Spazio Mil di Sesto San Giovanni, festival organizzato dalla compagnia Dionisi in programmazione fino a domani, 3 luglio.
Lo spettacolo è estremamente difficile da presentare. Questo perché il tema, caldo e scottante, è di per sé già qualcosa che si fa fatica a commentare. Chiara, l’attrice protagonista, semplicemente racconta la sua storia.
Ed è la storia di una ragazza di 26 anni che, mentre era in tournée a Messina, con i suoi compagni di scena, con l’allegria di una giovane attrice, ha scoperto di essere malata. Malata per davvero, di una malattia spesso incurabile, il linfoma di Hodgkin.
La sua vita ne viene inevitabilmente sconvolta.
Chiara racconta allora lo sgomento di fronte a questa malattia, più che altro lo stupore: “A me? Come può essere successo a me?”, e la positività e la voglia di una giovane donna di andare avanti a vivere, di fare la spesa come tutti, di stare un’ora in coda in tangenziale, la voglia di normalità e l’asfissia delle pareti delle stanze sterili dell’ospedale dalle quali non sa se uscirà mai.
È la storia di tutti quelli che hanno vissuto una malattia come il cancro, che avvicina le persone a questa malefica e strana condizione, che tutti temono ma pochi, a parte chi l’ha vissuta da vicino, conoscono per davvero.

Lo spettacolo è semplice e diretto, in scena un solo oggetto, che diventa tutto il mondo di Chiara, la sedia a rotelle, la macchina per scappare, il letto, la tac, e l’attrice che racconta. Essenziale e per questo emotivamente coinvolgente. Si crea una sorta di triangolazione tra il pubblico, l’attrice che è in scena e il malato, quello strano essere che il tuo corpo ti fa diventare, un essere distante, spesso sconosciuto, che molti evitano o non capiscono. Difficile da giudicare. Perché Chiara non fa grandi cose in scena e recita come se stesse parlando a ognuno, dritto negli occhi. Forse proprio per questo lo spettacolo arriva. Molto più che se avesse fatto chissà che cosa.

Perché la malattia, quando arriva, è proprio questo. Un fulmine in mezzo alla tua normalità. Ma tu non cambi. Sei sempre tu. Inutile dire che la vita è cambiata, che sei una persona migliore. Chi vive e lo ha vissuto lo sa. Si sta molto meglio senza tutto questo. Il coraggio di dirlo, schiettamente, è già tantissimo.

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