“Per anni ho immaginato lo spettacolo che finisce con l’incendio”. Incipit deflagrante, devastante.
“Bruciare la casa – Origini di un regista” inizia con questa utopica intenzione scenica, momento conclusivo di uno spettacolo impossibile, connotato da un incendio finale che “non poteva essere un artificio scenografico. Doveva essere un fuoco vero, e un reale spavento”.
Bruciare la vecchia casa per costruirne continuamente di nuove, genesi potenziale di nuova vita dalle ceneri della vecchia, esigenza imprescindibile all’evoluzione di una pratica teatrale, quella del maestro gallipolino, che dura ormai da più di quarant’anni, come da più di quarant’anni resiste l’isola dell’Odin. Una militanza epocale che, nonostante l’esperienza e la passione, non lo esime dal fargli dire: “[…] all’idea di varare un nuovo spettacolo provo indifferenza, quasi ripugnanza”.
Dalle pagine di questo volume edito da Ubulibri emerge la descrizione di un teatro inteso come mestiere antico ed artigianale, “una pratica intrisa di rigorose superstizioni”. Non si tratta di un manuale né, tantomeno, dell’esposizione di un metodo (termine assolutistico per definire la trasmissione di ipotetici segreti dell’arte scenica a potenziali attori), ma piuttosto di un lascito ereditario a vantaggio di futuri allievi, l’eredità di un uomo che si sente in debito nei confronti dei tanti suoi maestri, quelli che Eugenio Barba chiama “maestri del disordine”, capaci di confondere la mente e i sensi dello spettatore.
Drammaturgia organica, narrativa, evocativa: tre distinzioni fondamentali nel lavoro registico di Barba non necessariamente legate in senso stretto alla letteratura ma più propriamente alla ricerca di equilibri fra le varie componenti di uno spettacolo, opera collettiva che coinvolge attori, regista e spettatori; un livello di organizzazione che va a sposarsi con quella che più genericamente viene definita come “drammaturgia dell’attore”. L’obiettivo primario è quello di instaurare un’empatia che generi interdipendenza tra performer e spettatore, la cosiddetta cenestesia, sensazione interiore di movimenti e tensioni (proprie, degli altri attori e del pubblico) che determina l’essenziale differenza fra pre-visione (ovvia conclusione di un gesto che la percezione dello spettatore porta a conclusione mentalmente prima che sia l’attore stesso a farlo) e visione (sviluppo inatteso che genera sorpresa e rompe i canoni della prevedibilità attraverso il gesto artistico, realmente creativo).
L’evoluzione del lavoro attoriale dell’Odin Teatret si muove dunque, negli anni, verso il compimento di un’azione che neghi l’azione stessa (negazione elevata a pre-condizione creativa), un “bruciare la casa” in un processo di regressione al primitivo e di disorientamento che obblighi l’artista ad abbandonare i pigri cardini della logica per avventurarsi lungo sentieri il più possibile distanti dalla prevedibilità. “Bloccare il meccanismo della pre-visione è la premessa per arrivare alla visione”.
Il percorso attraverso le tre aree della drammaturgia descritte da Barba (organica, narrativa, evocativa) è intercalato da quattro intermezzi composti da riflessioni personali, testimonianze dei suoi compagni d’avventura o di suoi allievi (eloquente ed impressionante allo stesso tempo quella in cui compaiono alcune trascrizioni tratte dal taccuino di un partecipante ad uno dei suoi laboratori). Un regista “animale” secondo le parole di Julia Varley, per il particolare intuito che ha sempre suggerito le sue scelte.
Bruciare la casa. Origini di un regista
Barba Eugenio
2009
368 pp.
Editore Ubulibri