Fabrizio Gifuni, dall’Ubu ai ‘tempi giusti’ del teatro

Fabrizio Gifuni
Fabrizio Gifuni
Fabrizio Gifuni

Quello che proponiamo oggi è il videoincontro di Krapp con Fabrizio Gifuni, avvenuto presso il teatro Donizetti di Bergamo in occasione delle repliche del suo “L’ingegner Gadda va alla guerra” poco dopo il tutto esaurito al Franco Parenti di Milano, ma soprattutto dopo l’assegnazione del premio Ubu 2010 come miglior attore.

Personaggio a tutto tondo della scena italiana, scuola Silvio D’Amico, ha esordito nel 1993 con l’Elettra di Massimo Castri (che era insieme a lui e a Giuseppe Bertolucci sul palco degli Ubu 2010, per un incontro a tre che ha in un certo senso riassunto la sua esperienza d’attore).
Fabrizio è volto notissimo del teatro italiano, forse anche per le sue frequenti incursioni al cinema: dal “Così ridevano”, regia di Gianni Amelio a “L’amore probabilmente”, di Giuseppe Bertolucci (con cui era sul palco alla premiazione Ubu), dall’”Hannibal” di Ridley Scott a “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana (premiato a Cannes), giusto per citare alcuni registi fra i più importanti con cui ha lavorato.

Nella sua carriera teatrale è stato diretto, tra gli altri, da Terzopoulos, Sepe e Malosti. Il suo “’Na specie de cadavere lunghissimo” (con la direzione di Giuseppe Bertolucci) aveva ricevuto il premio Hystrio e il Golden Graal.
La conoscenza profonda del letterario e drammaturgico a cui le sue indagini attingono, la sicurezza con cui l’attore si muove all’interno delle questioni che i suoi spettacoli propongono, sono cose che emergono chiaramente non solo dalla personalissima funzione incarnatoria attorale, ma proprio dalle parole che in questa intervista ci rivolge, di attenzione e intima adesione ad un progetto professionale che ha cercato di volta in volta interlocutori adeguati a rilanciare nuove sfide.

Quello che, infatti, più chiaramente emerge dalla videointervista che proponiamo è il carattere alto, la persona di cultura e consapevolezza, cosa assai rara da incontrare nel panorama professionale.

I riconoscimenti ottenuti durante la giovane carriera formano un elenco veramente lungo, lunghissimo, dal “Rivelazione Europea” al Festival di Berlino, al Globo d’Oro della stampa estera e Premio De Sica nel 2002 (per la stagione cinematografica), il Nastro d’argento nel 2004 (per La meglio gioventù), Premio Flaiano, Ischia e Rodolfo Valentino nel 2005 (per l’interpretazione di Alcide De Gasperi), miglior interprete maschile al Roma Fiction Fest, (assegnato dalla Giuria L.A.R.A) e al Festival di Montecarlo (2010) per la sua personalissima e commovente interpretazione di Franco Basaglia.

Eppure, in questo bruciare di tappe e “vittorie professionali” una delle questioni più preziose che Gifuni ci regala nel suo lavoro è il tema del tempo.
In un momento critico per le tensioni all’interno del nostro contemporaneo, dilaniato da spasmi sociali e una divulgazione culturale bassa, Gifuni reclama per sé e per la sua categoria il tempo per poter studiare, raccontare, approfondire.

Un meccanismo opposto a quello che vediamo ricorrere in festival, rassegne e altre occorrenze frettolose, dove non di rado vengono proposti “studi”, “primi movimenti”, “frammenti” che di escatologico hanno spesso solo il titolo, e celano invece un putrescente tritacarne di riflessioni instabili e frettolose messinscena (nel senso più sgradevole del termine).

Insomma, la necessità delle cose viene dalla loro sedimentazione all’interno del nostro cosciente e incosciente. Dare all’attore professionista questo tempo di maturazione e decantazione è necessario. Come per un buon vino corposo, come per qualsiasi cosa che, superato l’impeto del tumulto iniziale, ha poi bisogno di maturare. Come l’essere umano, in fondo.
Tempo. Quanto deve riguardare la questione del tempo al nostro tempo? Ne parliamo con Fabrizio Gifuni.

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