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Tra Oriente e Occidente il linguaggio di Fagarazzi & Zuffellato. Intervista

Io Lusso
Io Lusso
Io Lusso (photo: Federica Fioretti)

Andrea Fagarazzi è nato in Italia. I-Chen Zuffellato è nata a Taiwan.
A Fagarazzi piacciono gli involtini primavera. A Zuffellato piacciono le sarde in saor.
Fagarazzi ascolta spesso Patti Smith. Zuffellato ascolta spesso The Smiths.
Tra i libri di Fagarazzi c’è “Doppio Sogno”. Tra i libri di Zuffellato c’è “Il teatro e il suo Doppio”.

Andrea e I-Chen, meglio conosciuti come Fagarazzi & Zuffellato, sono due giovani artisti che dal 2005 collaborano insieme. Entrambi provengono dal mondo delle arti visuali e performative, e hanno deciso di incrociare le loro strade per cercarne una comune dove poter decostruire e ricostruire la realtà a cui siamo abituati, smontandone gli schemi e svelandone i meccanismi.
Saranno tra i protagonisti di Santarcangelo 2010.
Li abbiamo incontrati a Venezia, al Teatro Fondamenta Nuove, dove sono andati in scena ieri sera, 11 marzo, con “Enimirc”.

Andrea e I-Chen, collaborate ormai da cinque anni. Com’è nato questo incontro?
Andrea – Tra Amsterdam, Vicenza e Londra, dopo anni in cui ognuno ha portato avanti il proprio percorso artistico. Ci siamo rincontrati scoprendo che le nostre strade erano più vicine di quanto pensassimo. Insieme abbiamo iniziato a riflettere e a mettere in discussione concetti e teorie relativi ad arti e performance. Ciò che inizialmente ci ha più legati è stato il comune interesse verso l’arte e le sue diverse espressività, ma non solo. Man mano che la nostra ricerca è andata avanti, abbiamo scoperto che tante erano le tematiche che entrambi volevamo approfondire attraverso i nostri linguaggi e così siamo arrivati ad “Io Lusso”, nostra prima performance insieme.

In “Io Lusso” si avverte il bisogno di denunciare le contraddizioni e gli schemi della nostra società. In che modo utilizzate le arti visuali e performative per poterlo esprimere?
I-Chen – “Io Lusso” ha diverse fasi. Nella prima mangiamo e attacchiamo su di noi stralci di riviste, e attraverso il corpo riproduciamo una serie di pose, segni e posture che troviamo sfogliando i giornali e che, senza saperlo, agiscono sulla nostra percezione. In questa fase trattiamo i nostri corpi allo stesso modo delle riviste: come oggetti. Diventiamo contenitori di messaggi pubblicitari, slogan e stereotipi invertendo così il “senso di marcia”: non è più l’immagine che va verso chi guarda ma il contrario. Si crea in questo modo una sorta di sostanza reagente che va a scardinare pian piano la percezione che si è avuta dell’immagine.
Andrea – Il nostro non è però un voler porsi come superiori al sistema, ma come succubi di questo: tutti lo sappiamo criticare ma nessuno riesce pienamente a sovvertirlo. Ciò che cerchiamo di fare è servire da campanello d’allarme, attivare spie che ci facciano rendere conto di quanto siamo impotenti e di quanto siamo coinvolti, per evitare di restarne soffocati.
I-Chen – Nella seconda fase di “Io Lusso” indossiamo dei sacchetti dorati. Coprire e celare il volto cambia la percezione di tempo, spazio, corpo e dell’altro, ed è una sensazione che lo spettatore non può capire né avvertire perché è fortemente legata al performer. Però, sfruttando i nuovi sensi che si creano in lui, stabiliamo con lo spettatore un contatto molto particolare che nasce da un diverso tipo di percezione.
Andrea – Emerge così anche il discorso della perdita d’identità, che spesso affrontiamo nei nostri lavori. Nel momento in cui “togli” la testa e rendi irriconoscibile il performer, chiunque potrebbe essere sotto quei sacchetti, ma non importa più molto capire chi ci sia. È interessante notare che avviene anche una vera e propria perdita di sessualità: non è più riconoscibile chi sia l’uomo e chi la donna, si crea una nuova identità, ibrida.

Identità, alterità. Un punto centrale della vostra ricerca. Perché?
Andrea – Spesso tendiamo ad etichettare le persone per come si mostrano e per come ci appaiono, ma altrettanto spesso ciò non corrisponde alla loro identità. Anche la sessualità non è determinata dal semplice fatto di essere femmina o maschio, ma noi riteniamo che all’interno della stessa persona ci siano più identità, più personalità che si possono esprimere, ecco perché nelle nostre performance spesso elaboriamo questa tematica.
I-Chen – Ciò vale per qualsiasi tipo d’identità, anche per quella dell’opera d’arte. Smontare  l’autorialità dell’opera per prenderne le distanze e riuscire a guardarla dal di fuori è un’operazione interessante per modificarne il punto di vista, che deriva dall’incrocio tra le intenzioni di chi ha creato l’opera e la visione di chi la guarda.

Le vostre performance si liberano da regole e consuetudini. Come riuscite a rapportarvi al pubblico?
Andrea – Non sappiamo se tutti riescono a cogliere il lavoro di ricerca che facciamo. Noi non cerchiamo alcuna universalità in ciò che facciamo e questo è un nostro punto di forza: evadere dal concetto che possa esistere un assoluto nelle cose che accadono è proprio ciò che cerchiamo di far emergere. Non pretendiamo di dire verità né di dare risposte; il nostro lavoro vuol essere una sorta di display in cui decontestualizzare delle cose che effettivamente esistono. Lanciamo il sasso e speriamo che lo spettatore lo colga. Il nostro obiettivo non è accontentare lo spettatore, ma fargli sorgere delle domande che noi stessi ci poniamo.

“Enimirc”, il vostro ultimo lavoro, affronta proprio il rapporto performer/spettatore. C’è, secondo voi, un modo per “sabotare” il sistema teatrale a cui siamo abituati?
I-Chen – Si sente spesso dire che lo spettatore che guarda è “passivo”, mentre chi sta sul palco è “attivo”. Secondo noi ciò che rende attivo lo spettatore non è farlo agire fisicamente, ma creare una complicità tra chi è sul palco e chi non lo è.
Ciò che maggiormente cerchiamo di fare è sfuggire all’abitudine. Nel momento in cui si stabilisce un rapporto costante tra due soggetti, si crea una sorta di rapporto gerarchico tra pubblico pagante e performer che si sente in dovere di soddisfare le aspettative del pubblico, inserendosi inconsapevolmente nelle categorie della tradizione. Non è però la novità ad ogni costo l’alternativa che proponiamo, ma semplicemente offrire diversi livelli di lettura attraverso altri tipi di linguaggio.
“Enimirc” ha una struttura molto complessa, di cui non possiamo svelare molto ai fini della riuscita della performance; possiamo però anticiparvi che è una riflessione sullo sguardo ed il suo ribaltamento… per il resto è uno spettacolo che va vissuto ed affrontato come una vera e propria esperienza di vita.

Quali i nuovi progetti in cantiere?
I-Chen –  Dopo Venezia partiamo per Bangkok, dove staremo in residenza per il progetto “Exotica” diretto da me in collaborazione con Andrea e altri due ragazzi. Sarà incentrato principalmente sul rapporto Oriente-Occidente, e il risultato sarà un’installazione performativa.
Andrea – Poi saremo a Copenaghen per dei progetti a cui partecipiamo singolarmente come performer, ma che comunque saranno seguiti da entrambi reciprocamente. Anche qui lavoreremo sull’identità e sui nuovi confini che può costruire. Infine, a luglio, al festival di Santarcangelo, dove debutterà “Enimirc” in forma definitiva, anche se ci piace pensare che continui ad essere una performance in costante evoluzione.

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