Fedra. Il debutto di Leonardo Lidi al LAC

Fedra (photo: Studio Pagi)
Fedra (photo: Studio Pagi)

Torquato Tasso nel finale, spesso omesso, del suo “Aminta” immagina che Venere-Afrodite vada in cerca del figlio Amore, e nel chiedere se qualcuno per caso lo avesse visto ne descrive i contorni, certo non belli e positivi, svelandone il disincanto: l’amore, se non docilmente governato, può arrecare dolore, può lacerare il cuore ed il cervello; con lui bisogna sempre fare i conti, ci avverte la madre e dea.

Questo meraviglioso riferimento ci è venuto in mente nell’assistere, in prima assoluta, al nuovo lavoro del giovane e promettente regista Leonardo Lidi al Lac di Lugano che, dopo “Lo zoo di vetro”, si è avventurato nel mettere in scena, reinventandola, la paradigmatica e celebre vicenda di Fedra, la regina di Creta, perdutamente innamorata del figliastro Ippolito, che il marito Teseo aveva avuto da un’Amazzone.
Il finale, come si sa, è assai cruento, con Fedra che si suicida dopo aver accusato Ippolito di averla violentata; Ippolito che, mentre conduce il suo carro trainato da cavalli, fuggendo nel vortice degli accadimenti, viene gettato a terra per l’improvviso arrivare di un grosso toro e soccombe, sbattendo fortemente il capo contro le rocce.
Solo dopo questi fatti cruenti lo sposo e padre, Teseo, ritorna a Creta, liberato da Eracle, dopo essere stato imprigionato per quattro anni negli Inferi legato ad una sedia che gli procurava oblio su tutto.

Il mito di Fedra e Ippolito ha avuto molto successo in campo teatrale e non solo, essendo narrato – in epoche diversissime fra loro – da Euripide, Seneca, Ovidio, Racine, D’Annunzio, Ritsos e Sarah Kane (“Phaedra’s Love” è la sua seconda opera teatrale, andata in scena per la prima volta a Londra nel 1996).
Ma cosa può interessare così tanto in questa vicenda da aver indotto questi artisti ad evocarla, e a Lidi a metterla in scena proprio oggi?
Prima di tutto, come si diceva, il tema dell’amore che pervade i tre protagonisti (Fedra, Teseo ed Ippolito), che può essere ben coniugato in modo contemporaneo, e al contempo il tema delle rispettive tre solitudini, dove l’amore potrebbe incunearsi come salvezza, ma che invece si risolve per essere un tarlo torturatore.

Lidi parte dal mito della “sedia dell’oblio”, secondo cui lo sposo di Fedra, Teseo, rimane imprigionato per quattro anni negli inferi fino a che Eracle, sceso nel tartaro per catturare il cane Cerbero, lo libera. Da qui il parallelismo con ciò che stiamo vivendo oggi, con il Covid/Cerbero che ci tiene incatenati.
All’inizio dello spettacolo vediamo assise su una panchina (in qualche modo simile alla sedia dell’oblio di Teseo) non una Fedra ma ben due (Francesca Porrini e Maria Pilar Pèrez Aspa). Sono agghindate con vistose parrucche, che poco dopo si tolgono, e vestite di giallo, con una certa somiglianza alle famose gemelle di “Shining” di Kubrick.
Nei loro pensieri, nelle loro esternazioni intravvediamo due modi di essere che si contrappongono: istinto e ragione, consapevolezza delle cose e impeto passionale. Infine il desiderio di libertà, contrapposto alla necessità di proteggersi da qualcosa di pericoloso, a cui però non si può resistere, e l’arrivo di Ippolito lo dimostra ampiamente.

La prima Fedra deve lasciare inevitabilmente il posto alla carnalità di Ippolito, a questa emozione gigantesca che è l’amore, che ci rende incapaci di gestire le nostre scelte: “Afrodite è un dio troppo potente, un dio che brucia chiunque con la sua fiamma”. E’ un Ippolito distratto, quello portato in scena efficacemente da Alessandro Bandini, perfetta incarnazione di un adolescente di oggi, che gioca maldestramente, ovviamente da solo, a tennis, accettando tutto quello che gli viene incontro, indifferente, senza discernimento alcuno, tra un impulso sessuale e l’altro, rimanendo così inevitabilmente chiuso in una reggia, pur luminescente, da cui non potrà più scappare.

Tutto è reso da Lidi in modo scarno; le parole escono a fatica in un mondo però dai colori brillanti, come nella precedente messa in scena del capolavoro di Williams.
Infine ecco Teseo, che con bella intuizione registica arriva dalla platea e si trova da solo davanti alla porta frangifuoco che protegge il palco, evidente metafora di come l’attore, in questi difficili momenti, sia costretto a dover rimanere fuori dal suo luogo naturale, impossibilitato ad esprimersi anche da una società a cui interessa poco la sua arte.

Christian La Rosa, come sempre superlativo seppure in proscenio, è invece un fiume di parole. Non sa nulla, non conosce nulla, vorrebbe entrare nella sua reggia ma non può. Fa solo delle ipotesi, di cui ogni volta è certo, mescola passato e futuro in un incedere di emozioni contrastanti, spesso soffuse di ironia, che lo incatenano in un susseguirsi di possibilità e di speranza per il futuro che forse l’amore potrebbe rendere possibile.
Come Fedra, Ippolito e la giovane Strofe (Marta Mavestiti, figlia di prime nozze di Fedra), Teseo è sballottato in un mondo senza certezze dove solo l’istinto conta per sopravvivere. Un po’ come il nostro, che mai come ora avrebbe bisogno invece di ulteriori certezze per cercare di credere in un domani migliore.
La “Fedra” di Lidi, attraverso le incertezze e il bisogno d’amore di tutti i suoi personaggi, diventa quindi con efficacia lo specchio dei nostri dubbi e del nostro bisogno di amore.

FEDRA
adattamento e regia Leonardo Lidi

con (in ordine alfabetico)
Alessandro Bandini
Christian La Rosa
Marta Malvestiti
Francesca Porrini
Maria Pilar Pérez Aspa

disegno luci Marco Grisa
assistente alla regia Alan Alpenfelt
produzione LAC Lugano Arte e Cultura

durata: 1h 20′

Visto a Lugano, LAC, il 28 settembre 2021
Prima assoluta

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