Ferdinando di Arturo Cirillo. Passione che squassa animi, corpi ed equilibri

Ferdinando (ph: Tommaso Le Pera)
Ferdinando (ph: Tommaso Le Pera)

Grande prova per Sabrina Scuccimarra nel ruolo di Donna Clotilde, che fu di Isa Danieli

Dopo il debutto nel mese di ottobre ad Ancona, è in tournée in questi giorni “Ferdinando” di Annibale Ruccello, per la regia di Arturo Cirillo. È un lavoro nell’insieme riuscito – pur con qualche inciampo -, dal momento che le oltre due ore filate passano ininterrotte, senza che ci siano cali di ritmo o di attenzione.

La pièce è “un dramma con una struttura classica”, sottolinea nelle note di regia lo stesso Cirillo, che ne evidenzia la peculiarità all’interno della produzione dell’autore napoletano, deceduto prematuramente nel 1986 in un incidente stradale.

Sono le passioni e l’amore a fare da traino in un meccanismo drammaturgico condito da molta ironia; passioni e amori che deflagrano all’improvviso, eruttano come un vulcano sopito da tempo e devastano ogni cosa sul loro cammino. L’amore per una giovinezza, fresca e levigata, che si impone sulla vecchiaia per mezzo della sua forza dirompente, che tutto annulla, e illude, in chi ne viene a contatto, di poter tornare indietro nel tempo.

Questo è Ferdinando, giovane corpo sensuale e attraente, figura all’apparenza ingenua che scatena e risveglia pulsioni vitali irrefrenabili di possesso, alle quali nessuno sa porre un argine, e alle quali nessuno è capace di resistere, con il risultato di venirne sradicato, come un albero da una tempesta.
Ma del giovane tutti in realtà vedono solo il grazioso corpo, accecati, e scambiano l’involucro per il contenuto. Così, nessuno si accorge in tempo di chi egli sia nella realtà. E ogni sospetto che fa capolino, viene allontanato con violenza, condannando alla tragedia.

Siamo nell’anno del Signore 1870, e una nobildonna decaduta, Donna Clotilde (Sabrina Scuccimarra), che si rifiuta di parlare l’italiano, lingua degli “invasori” sabaudi, trascorre le giornate a letto nella sua villa vesuviana, tra depressione e accidia. Le fa da dama di compagnia, infermiera e serva, una cugina, Gesualda (Anna Rita Vitolo), che tuttavia non ha i suoi nobili natali. “Figlia di zoccola” è infatti uno degli appellativi che le rivolge la superba allettata.

La casa della nobildonna è animata dai pettegolezzi e dalle frequenti visite del parroco, don Catello, figlio illegittimo del nonno di donna Clotilde, un mellifluo Arturo Cirillo – non del tutto convincente qui nella parte che, al debutto, fu dello stesso Ruccello – colto, doppio e sfuggente, che con il suo fare pretesco non tralascia di sollazzarsi con donna Gesualda, zitella illibata prima di quegli incontri.

Ma l’arrivo improvviso di un giovanissimo parente, il giovane e aitante Ferdinando (Riccardo Ciccarelli) – da qui il titolo – fa esplodere i precari equilibri, le sopite gelosie e le malcelate verità della casa, come un magnete che attiri e frantumi tutto a sé.
Ciascuno, a suo modo, viene travolto da una passione malata nei confronti del giovane. Si scoprono gli altarini. Emergono gli intrighi del prelato e la sua omosessualità, sino ad allora malamente celata, la possessività malata di donna Clotilde, che tenta di tenere a sé il giovinetto offrendogli una cassetta di preziosi e il desiderio sessuale rabbioso di Gesualda, desiderio vindice delle perdute attenzioni del prelato, rivolte morbosamente a Ferdinando. E soprattutto si susseguono una serie di intrighi, colpi di scena e ricatti, che mettono in luce l’abilità della penna di Ruccello e la felicità di un testo che non accusa il passare degli anni.
Ma l’oggetto del desiderio, Ferdinando, non è certo una marionetta che si concede a tutti senza un motivo.

Impressiona, è doveroso sottolinearlo, la prova di Sabrina Scuccimarra, soprattutto considerando il peso che le grava addosso, visto che al debutto, nel febbraio 1986, il suo ruolo era stato affidato a Isa Danieli. La riuscita dello spettacolo è in parte anche merito suo. Tiene il palco per gran parte della messinscena, mescola tempi, ritmi, ironia, variazioni di registro con una sapiente partitura gestuale, e si mette in luce in un ruolo che chiede all’interprete una generosità e un impegno rari. Convincente anche la Vitolo nei panni della cugina di serie B.
Lo stesso non si può dire invece del Don Catellino di Arturo Cirillo – talvolta scade nella monocromia – né del giovane Riccardo Ceccarelli, che dimostra spesso eccessivo impeto e un’espressività troppo accentuata nel delineare la figura di Ferdinando, probabilmente anche indirizzato da scelte registiche non sempre felici, come, per fare un esempio tangibile, il suo ingresso in scena, che avviene di corsa, come a voler troppo sottolineare l’inaspettata venuta e la giovane età, dove tutto è vissuto con istinto e sete insaziabile di scoperta.

Grande impatto viene ad avere invece la scenografia: l’imponente arazzo rosso, che giganteggia sullo sfondo, è un elemento polisemico, nella sua semplicità. Non da meno anche il disegno luci di Paolo Manti, che anima una scena statica, che non prevede rivoluzioni di sorta. Così i costumi di Gianluca Falaschi.

Concludiamo con un piccolo appunto. In cauda venenum, è proprio il caso di dire. Peccato per l’assenza del calamaio sul piccolo tavolo dove Don Catello, nelle battute conclusive, scrive una lettera per chiedere perdono di una condotta che ha ceduto agli istinti della carne. Una piccola mancanza che poteva certo essere evitata. In questo modo, nonostante la penna usata non rassomigli certo a una biro, l’effetto che ne sorte è il medesimo. Purtroppo.

FERDINANDO
di Annibale Ruccello
con Arturo Cirillo, Sabrina Scuccimarra, Anna Rita Vitolo, Riccardo Ciccarelli
scene Dario Gessati
disegno luci di Paolo Manti
costumi Gianluca Falaschi
musiche Francesco De Melis
regia Arturo Cirillo
regista collaboratore Roberto Capasso
produzione MARCHE TEATRO, Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

durata: 2h 20′
applausi del pubblico: 5’

Visto a Sarzana (SP), Teatro degli Impavidi, il 28 novembre 2023

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