Feste di Familie Flöz: sotto la maschera, l’umanità per chi è solo

Feste (photo: Simon Wachter)
Feste (photo: Simon Wachter)

Torna al Teatro Menotti Perego di Milano la compagnia berlinese, proponendo fino al 3 aprile il nuovo spettacolo

La poesia delle piccole cose espressa senza profferir parola: solo posture, gesti, sguardi.
Torna a Milano la compagnia berlinese Familie Flöz, rimettendo in scena “Teatro Delusio”, e soprattutto proponendo fino al prossimo 3 aprile “Feste”, nuova produzione che raggiungerà nei prossimi giorni anche Sasso Marconi, Reggello, Arezzo e Firenze.

Il linguaggio del corpo e la magia delle maschere rigide rivelano, proprio attraverso il movimento, la misteriosa mappatura del cervello e le profondità dell’anima. Affiorano, tra illusioni e incantesimi, le fragilità, e il potere creativo della psiche umana.

In “Feste” Familie Flöz si focalizza sui fervidi preparativi per un matrimonio. Paradossalmente, i meno convinti delle nozze sembrano proprio gli sposi.
Se “Teatro Delusio” mostrava il backstage di uno spettacolo teatrale, qui, con procedimento analogo, assistiamo alla preparazione della festa non dalla sala con i tavoli, ma dal cortile di una grande casa in riva al mare, tra merci e inservienti che vanno e vengono. Intanto, sullo sfondo, continua ad accumularsi una montagna di sacchi neri della spazzatura. Il silenzio è interrotto solo dalla musica, dalla risacca e dal canto dei gabbiani.

“Feste” è una sarabanda di maschere e personaggi, una ventina in tutto, che si ritrovano a interagire in una miriade di situazioni. Sembrerebbe che dietro a ogni maschera ci sia un attore. E invece sono solo tre, uno alto, uno basso, uno intermedio. Sono Andres Angulo, Johannes Stubenvoll e Thomas van Ouwerkerk, anche autori dello spettacolo insieme ad Hajo Schüler e Michael Vogel (quest’ultimo in cabina di regia con l’aiuto di Bjoern Leese).

Ordinaria vita da cortile. Qui abbiamo un custode che non riesce a bere un caffè in santa pace, e neppure a sistemare una lampadina difettosa. C’è una donna delle pulizie che usa troppa cera sui gradini delle scale. C’è un manager che deve districarsi in mezzo a una muta di cani. C’è anche una senzatetto incinta, che si nasconde impaurita tra i sacchi della spazzatura. Nel frattempo, un andirivieni di camerieri, facchini, addetti alle consegne. Non può mancare il cuoco. La torta deve essere addobbata, i polli vengono spennati. La sposa è un angelo che perde troppo presto le ali: la sua figura sacrale e silenziosa attraversa la scena, conferendole un tocco di poesia.
Qui la festa è in controluce. Le stratificazioni sociali sono mirabilmente rappresentate nel microcosmo effervescente della società. Gli interpreti agiscono muti e irrequieti dietro le loro maschere. Il silenzio non è soltanto rinuncia a un dialogo vuoto, ma anche cristallizzazione delle realtà sociali. I personaggi sono tutti così intrappolati nelle loro posizioni gerarchiche, da non riuscire neppure a parlarsi. Al massimo, possono agitarsi.

Eppure la comunicazione si sprigiona oltre le parole: attraverso i profumi che aleggiano nell’aria; oppure attraverso gli oggetti, che viaggiano di mano in mano. Poi, d’improvviso, si passa dal freddo pungente al calore inatteso. Ci sono visi di uomini che si sfiorano, nell’anelito di un bacio omosessuale sulle labbra. C’è un accenno d’abbraccio, quando la governante porge silenziosamente un grembiule alla senzatetto, e la rende così parte della comunità. Il cuore si scioglie in scena. Un’armonia sottile pervade la platea. Nei bassifondi s’incontrano i derelitti, personaggi diversamente soli. Nella miseria, si scoprono fino in fondo umani. Di là dalla condizione sociale, emergono inquietudini e angosce esistenziali.
Quanto più i personaggi sono maldestri, tanto più sono vicini a noi, e ci preservano nel tempo della corruzione. Essi non sono capaci che di un unico sentimento per volta. Eppure lo sprigionano alla massima potenza.

La drammaturgia si focalizza sulle emozioni piuttosto che sulle storie. Procede per accostamenti, contrappunti, armonie e dissonanze. Crea un universo parallelo, popolato di presenze liriche.
I colori possiedono la scena, realizzata da Felix Nolze e Rotes Pferd. Le maschere di Hajo Schüler vivificano i costumi di Mascha Schubert, che sublimano nell’onirico attraverso i suoni di Dirk Schröder e le musiche di Maraike Brüning e Benjamin Reber. Le luci disegnate da Reinhard Hubert descrivono invece i paesaggi emotivi dei personaggi, recuperandone lo sguardo primitivo, libero da sovrastrutture, intrinsecamente creativo.
Il sorriso sprigiona una forza vitale. Quello che emerge è il legame umano che ci interconnette, e si rivela nello stupore, nella ricerca della felicità e nel fallimento. “Feste” è una favola per adulti capace di sedurre i bambini. Ma dietro la quieta immobilità delle maschere, in un mix sognante di comicità amara e farsa oscura, c’è anche la denuncia di un progresso nevrotico, che non ha proprio niente di poetico.

FESTE
Una produzione di Familie Flöz
In coproduzione con Theaterhaus Stuttgart, Theater Duisburg, Theater Lessing olfenbüttel
Sostenuto dal Fondo Culturale della Capitale
Un’opera di Andres Angulo, Björn Leese, HajoSchüler, Johannes Stubenvoll, Thomasvan Ouwerkerk, Michael Vogel
Con Andres Angulo, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk
Regia Michael Vogel
Aiuto Regia Bjoern Leese
Maschere Hajo Schüler
Scena Felix Nolze, RotesPferd
Costumi Mascha Schubert
Sound Design Dirk Schröder
Musica Maraike Brüning, Benjamin Reber
Canzone Holdon Marlena Käthe
Disegno luci Reinhard Hubert

durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 6’

Visto a Milano, Teatro Menotti Perego, il 25 marzo 2022

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