Festen. Il riuscito gioco della verità del Mulino di Amleto

Festen (photo: Giuseppe Di Stefano)
Festen (photo: Giuseppe Di Stefano)

Un compleanno che si miscela con un funerale e una ricca famiglia danese dedita a rapporti di facciata, relazioni di potere malsane, segreti inconfessabili, in una macabra giostra in cui la falsità dai sorrisi benevoli si alterna all’ipocrisia dei buoni sentimenti.
È questo il cuore del racconto di “Festen. Il gioco della verità”, andato in scena in prima nazionale al Teatro Astra di Torino, concludendo la programmazione della micro-stagione di Re: RE/START.

L’opera è tratta dall’omonimo film danese del 1998 diretto da Thomas Vintenberg, scritto da Mogens Rukov e BO Hr. Hansen, prima pellicola aderente al manifesto Dogma 95. Il movimento, che annovera tra i quattro cineasti fondatori anche Lars von Trier, si basa su alcuni dettami fondamentali: niente effetti speciali, niente orpelli, assenza di scenografia, di luci artificiali, di colonna sonora, di abiti di scena ed esclusivo utilizzo della camera a mano. Il tutto a favore di un certo naturalismo, di un cinema senza filtri, attento solo alla semplicità del girato e all’interiorità dei personaggi. “Festen” vinse nel 1998 il Gran Premio della Giuria di Cannes, presieduta all’epoca da Martin Scorsese, e numerosi Robert, i cosiddetti Oscar nordici. Al contrario di Francia, Germania e Scandinavia, in cui è diventato un cult a tutti gli effetti, in Italia nessuno fino ad oggi aveva provato a metterlo in scena.

Certo, pensare alla trasposizione teatrale dell’iconico film di Vintenberg, insignito da poco con l’Oscar per “Un altro giro”, potrebbe trascinarsi dietro una buona dose di timore e di responsabilità, ma è pur vero che l’adattamento per il teatro era già stato realizzato da David Eldridge, e il testo contiene in sé una tale intensità psicologica e tragica da risultare una fonte ricca di suggestioni per chi sa maneggiare con intelligenza l’impianto teatrale. Così è stato per Marco Lorenzi, che firma la regia nonché l’adattamento italiano, a quattro mani con Lorenzo De Iacovo: una prima versione ‘nostrana’ coerente con il percorso artistico avviato da Il Mulino di Amleto, compagnia teatrale nata nel 2009 da un gruppo di giovani attori diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino e diretta dallo stesso Lorenzi.

La scena è segnata da due cerchi concentrici, da pareti di un grigio glaciale e da una moltitudine di microfoni, che accolgono l’ingresso del pubblico in sala, mentre una casa in miniatura, illuminata davanti alla scena, riconduce all’infanzia; la fiaba noir di Hansel e Gretel dei fratelli Grimm apre la strada alla storia, trasportandoci in un universo familiare dai contorni subito inquietanti.
Una ricca famiglia dell’alta borghesia danese, i Klingenfeld, si riunisce per festeggiare il 60° compleanno del patriarca Helge, circondato dall’affetto di tutti i presenti: dai parenti più lontani alla moglie, dal nonno alla nuora incinta, dal cerimoniere ai tre figli Christian, Helene e Michael. Una sola persona manca in questa felice ricorrenza, Linda, la sorella gemella di Christian, morta suicida da poco. Una giostra tra luce e tenebra, festa e morte, ipocrisia e realtà si protrae fino a quando il primogenito Christian non decide di fare un brindisi, attirando l’attenzione di tutti gli invitati per rivelare una drammatica verità, fatta di abusi sessuali e incesto, troppo a lungo rimossa.
Nonostante la confessione e la denuncia nei confronti del padre-aguzzino, che violentava la coppia di figli gemelli, la festa va avanti nell’indifferenza generale, lasciando il pubblico basito. Quanto – viene da chiedersi – il potere e l’autorità imposta influiscono sul nostro rapporto con la verità? Chi potrebbe mai sovvertire la relazione con la figura paterna?

Fin dall’inizio dello spettacolo, targato TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Solares Fondazione delle Arti, il palco è tagliato a metà da un telo posto davanti al boccascena, mentre alle spalle una videocamera senza fili riprende l’azione in presa diretta. Un gigantesco piano-sequenza che, per l’intera durata dello spettacolo, è girato dagli stessi attori e proiettato di fronte alla platea, amplificando sul grande schermo i primi piani dei personaggi, i dettagli, le risate forzate, i corpi, i motteggi della festa, i particolari esaltati. Due mondi distinti: la verità dietro, con le sue impurità e imperfezioni, e la realtà artificiosamente riproposta davanti, quello che vogliamo vedere o che ci vogliono far vedere. Una partitura del reale, presa da angolazioni diverse, che lascia al pubblico la decisione di scegliere su quale piano orientare lo sguardo, per capire infine quanto tendenziosa sia la visione che ognuno di noi ha di esso.
Quale potrebbe essere la verità? Cosa scegliamo di guardare? A cosa preferiamo credere? Ed è quando il velo sottile che divide la verità dalla sua immagine, la scena dalla platea, scompare definitivamente che la realtà può manifestarsi in tutta la sua feroce autenticità, lasciando dietro di sé vuoto, illusione e silenzio.
Così avviene: il castello di perbenismo dei Klingenfeld inizierà a sgretolarsi fino alla lettura di un biglietto lasciato da Linda, che confermerà le accuse di Christian e aprirà gli occhi ai familiari.

“Festen è un abisso” – lo definisce nelle note di regia Lorenzi -, in cui tutti i personaggi vengono rappresentati con grande abilità, un cast coeso e compatto che vede in scena – val la pena nominarli tutti – Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi, Roberta Calia, Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Barbara Mazzi, Raffaele Musella e Angelo Tronca.
Tra forza disperata, sonorità vocale, ritmo, note musicali graffianti, guizzi comici, gorghi angoscianti, battute leziose, risate isteriche, movimenti convulsi e canzonette spensierate, questo folto gruppo di artisti, che sa essere brioso quanto intenso e drammatico, dà prova della propria bravura.

La regia di Lorenzi attenta a ogni dettaglio e una drammaturgia potente e perturbante, da lasciare il pubblico col fiato sospeso, ben forniscono l’immagine della deflagrazione di relazioni umane troppo a lungo costrette, decretando la condanna del padre abbandonato a sé e al suo vile destino.

Stasera e domani al Teatro al Parco di Parma, e dal 18 al 27 giugno al Teatro Fontana di Milano.

FESTEN. Il gioco della verità
di Thomas Vintenberg, Mogens Rukov & BO Hr. Hansen
Adattamento per il teatro David Eldridge
Prima produzione Marla Rubin Productions Ltd, a Londra
Per gentile concessione di Nordiska ApS, Copenhagen
Versione italiana e adattamento di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi
Con Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi e (in ordine alfabetico) Roberta Calia,
Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Barbara Mazzi,
Raffaele Musella, Angelo Tronca
Regia Marco Lorenzi
Assistente alla regia Noemi Grasso
Dramaturg Anne Hirth
Visual concept e video Eleonora Diana
Costumi Alessio Rosati
Sound designer Giorgio Tedesco
Luci Link-Boy (Eleonora Diana & Giorgio Tedesco)
Consulente musicale e vocal coach Bruno De Franceschi
Referente di palcoscenico e fonico Francesco Dina
Capo elettricista e tecnico video Luca Serra
Sarta di compagnia Milena Nicoletti
Produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Solares Fondazione delle Arti
in collaborazione con Il Mulino di Amleto

Durata: 1h 50’
Applausi del pubblico: 5’

Visto a Torino, Teatro Astra – Stagione TPE, il 6 giugno 2021
Prima assoluta

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