Parlare di spazio è fondamentale per sintetizzare il quarto capitolo del Festival Exister a Milano, promosso da ArtedanzaE20 con il sostegno della rete Anticorpi XL, e non ancora del tutto chiuso: conclusa la parte primaverile (15 e 22 maggio) l’appuntamento è infatti per il prossimo autunno con altre due date (16 e 23 ottobre 2011).
Ricerca di spazio è il motore di Exister_11 Destinazioni, in cui la danza delle giovani compagnie è “corpo in fermento verso luoghi da occupare, nonostante i divieti, le crisi e le occasioni mancate”. In particolare, in questa edizione che “esce dai teatri e migra in città”, la prima delle Destinazioni è stata l’Area Pergolesi.
Location nel centro di Milano, è un open space di circa 380 mq che, a dire il vero, è sempre più spesso luogo deputato al teatro – soprattutto da quest’anno per aver ospitato parte della stagione del Teatro i -: “Abbiamo sfruttato l’ampiezza, disponendo le performance su un lato e lasciando al centro il bar per il pubblico, per farlo sentire libero di muoversi e invitarlo a restare – spiega Annamaria Onetti, direttore atistico di Exister – Ma non è bastato: pur essendo alta la tensione durante la performance, all’Area Pergolesi la gente sembrava attendere solo il momento dell’azione, senza viverlo oltre”.
Qui si sono svolte il 15 maggio le performance di Riccardo Fusiello / Agostino Riola, Martina Cortelazzo, Marco D’Agostin, Matteo Fantoni, Opera_di_polvere, e infine, Francesca Telli e Marta Melucci, in arte Yo e Ci di Schuko, presenti anche il 22 maggio all’Assab One.
Spazio espositivo dal 2002, il secondo approdo di Exister_11 è un’ex sede di una nota azienda grafica milanese. Qui, Tommaso Monza e Carolina Amoretti vestiti da super eroi, protagonisti di “Dei nostri eroi più fragili”, ci hanno accompagnato dal cortile esterno all’interno dell’edificio, e poi attraverso le performance.
Nella prima, “Bug’s game”, progetto di Contrappunto_lineeindipendenti, estratto del lavoro finalista al premio Gd’A – Giovane Danza d’Autore Lombardia nel 2009, due danzatrici interpretano la routine meccanica assunta per evitare il confronto con l’altro; dalla messa in scena dell’indifferenza all’intimità dell’incontro, cercato ma mancato per via di una comunicazione impossibile, è il movimento offerto dalla compagnia No Frills. Comunicazione possibile, ma con un muro, è invece quella di Marina Rossi in “Dentrolemura”, “partitura di movimento per corpi, mura, luce ed ombre”.
A ogni artista è stato assegnato un proprio angolo all’interno dello spazio, “a determinare nell’insieme una mappa di punti in cui ogni figura vive come in un gigante acquario di presenze […] la performance si compie e si lascia guardare, oltrepassare e modificare da un ignaro pubblico che la attiva avvicinandosi”. Per chi è riuscito ad avvicinarsi…
Vero che, in uno spazio crudo, senza mediazioni, risalta l’agilità dei corpi; vero che uno spazio oggi “teatrale” ma ex industriale affascina per la presenza, ora passiva, del suo passato ingombrante e fatto di macchinari diventate carcasse pesanti, immobili, su cui spicca ancora di più la bellezza del movimento dei giovani performer, leggero, spontaneo e ribelle, rispetto a quello automatico e ripetitivo delle macchine. Vero che l’atmosfera da città fantasma, in cui ci si muove in gruppo, andando di volta in volta verso “dove succede qualcosa”, si sposa benissimo con la scoperta dei movimenti proposti da ogni diversa performance.
Eppure tutto ciò rischia forse di coprire la stessa performance, fruita a gruppi distratti, intravista da chi non sgomita per stare davanti, vista meglio da chi, avendo al collo un macchinone fotografico, “ha la precedenza”.
Il resto siamo noi, appoggiati alla macchina da stampa in disuso che campeggia al centro del vasto locale, in attesa che la performance invada anche solo per un attimo il nostro campo visivo ristretto.
Gli spazi infatti, disposti a quadrilatero, si sviluppano spesso per il lungo, mentre il pubblico sta sul lato corto.
Come per la performance di Yo e Ci: notevole sia per la colonna sonora elettronica di Nobukazu Takemura, che per l’atmosfera pop ispirata al mondo manga e ai giovani “emo”, e aiutata dalla stilista Raffella Spampanato. Peccato quindi che fosse dura vedere anche le due artiste.
“Ma la performance è il luogo che vive, è un amalgama di danza e spazio, dove è l’artista a integrarsi nel luogo, a esserne parte, e dove la visibilità teatrale non ha senso” spiega ancora il direttore artistico di Exister, che poi fa notare: “Alcuni spazi possono essere più forti dei performer, ma va bene; sfuggono delle cose, però è questa la natura dell’itinerante, del site-specific, e i giovani artisti vanno educati a questo”.
Siamo d’accordo, e per questo sosteniamo l’iniziativa di Exister; ma il pubblico è davvero preparato?
“In effetti il pubblico milanese è un po’ statico, per questo lo abbiamo condotto – continua Annamaria, riferendosi al fatto che inizialmente era prevista la simultaneità delle performance e il percorso libero del pubblico – Non è semplice per lui andare a scoprire, è timido. Nessuno per esempio è andato a scattarsi la foto, come suggerito nell’angolo appositamente dedicato: un’occasione di visibilità non sfruttato, un’altra parte di spazio aperta ma non attraversata”.
Ma è così incredibile questa ‘occasione mancata’? Non ne rimango troppo stupita: forse perché, come sostiene Annamaria Onetti, “a Milano c’è qualcosa che non va, abbiamo bisogno di rieducare il pubblico alle differenti arti”.