Il vizio amletico di Filippo Timi. La video-intervista

Filippo Timi
Filippo Timi
Filippo Timi (photo: Fabrizio Maltese for european-films.net)

“Antonietta, dì a Filippo che sono bloccato sulla tangenziale. Cinque chilometri di coda”. Iniziamo bene, mi dico. St’intervista non s’ha da fare. Marce, pedali, un occhio all’orologio e uno alla coda, santi e divinità del traffico, fino a Milano sud, zona Lodi. Arrivo ai capannoni del Pim Spazio Scenico. Corro nel cortile, in ritardo di ben tre quarti d’ora sull’appuntamento: sono le otto meno un quarto e lo spettacolo è fra meno di un’ora. Dodo Favetti e Antonietta Magli, padroni di casa, mi vedono arrivare trafelato e ridono: “E’ andato a bersi una cosa, andiamogli incontro”.

Prendo fiato. Girato l’angolo lo vedo arrivare con passo a balzelloni e scarpe da ginnastica. Filippo Timi è abbastanza gigantesco per chi non lo conosce. Non solo per l’altezza, ma anche perché – con dote naturale – riesce a moltiplicare la sua corporeità. Mi presenta tutto il gruppo di Santo Rocco & Garrincha.

Timi, “Filo” per gli amici, nasce a Perugia nel 1974 e trent’anni dopo, nel 2004, già riceve il premio Ubu come miglior attore under 30. Scrittore, oltre che attore, ha pubblicato i romanzi “Tuttalpiù muoio”, scritto insieme a Edoardo Albinati, “E lasciamole cadere queste stelle” (entrambi per Fandango Libri), e “Peggio che diventare famoso” (ediz. Garzanti).
Il suo impegno come attore di teatro è passato, nei primi anni Novanta, per il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, poi per il “Fuoco Centrale” con Cesare Ronconi e Teatro Valdoca, e anche “G. A. Story” con Robert Wilson. Nel 1996 c’è l’incontro con Giorgio Barberio Corsetti e una lunga e proficua collaborazione nel periodo più bello di Corsetti. A Roma sperimentano spettacoli nei posti più incredibili, dai capannoni dismessi lungo la Tiburtina al Parco degli Acquedotti.

Arriva anche il cinema, con le interpretazioni per “In memoria di me” di Saverio Costanzo, “Saturno contro” di Ferzan Ozpetek, “I demoni di San Pietroburgo” di Giuliano Montaldo, e i recenti “Signorina Effe” di Wilma Labate, “Come dio comanda” di Gabriele Salvatores e “Vincere” di Marco Bellocchio, dove interpreta Mussolini sullo sfondo di una storia nascosta: quella di Ida Dalser e del primo figlio maschio del Duce, Benito Albino Mussolini.

In fondo, anche questo Amleto de “Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche”, lavoro scritto a quattro mani con Stefania De Santis, e in cui sfodera un’imponente prova d’attore, teme di sé, del suo passato e del suo futuro. Cerca di cancellare tracce, più che di trovarne. Di perdersi, parola chiave che è l’invito di Timi allo spettatore. Lui, in processione fra Santo Rocco & Garrincha.

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