Five Easy Pieces. Milo Rau, il mostro di Marcinelle e quello dentro di noi

Photo: Phile Deprez
Photo: Phile Deprez

La provocazione non è mai gesto innocente, per Milo Rau è un raffinato gioco psicologico.
In “Five Easy Pieces” il regista svizzero provoca lo spettatore preparando il terreno, attraverso una candida narrazione didascalica, allo svelamento del male dentro di noi. Tutto lo spettacolo è un’articolata e complessa preparazione al dispiegamento di questa verità. Il male in una delle sue manifestazioni più aberranti è infatti il protagonista dello spettacolo, sebbene l’episodio di cronaca di cui si parla (i delitti del “mostro di Marcinelle” Marc Dutroux, che dal 1985 al 1995 uccise e sequestrò diversi bambini in Belgio) si riveli un pretesto drammaturgico per scavare altrove, negli abissi della coscienza.

“Anche se ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti” cantava De Andrè in “La canzone del maggio”: non saremo “mostri”, ma tutti abbiamo zone d’ombra, stimolate da una contemporaneità barbara.

Sette bambini si trovano sul palco insieme al direttore di scena. Sono chiamati a presentarsi per nome, cognome, età, attitudine artistica. È un momento di tenerezza. Il candore infantile sembra però fare da contrappunto al direttore, il mefistofelico Peter. I bambini, interrogati su due personaggi, Patrice Lumumba e Marc Dutroux, mostrano di conoscere sia la vicenda del leader dell’indipendenza del Congo dalla colonizzazione belga, sia i dettagli della vicenda del mostro di Marcinelle.
I piccoli interpreti sono invitati da Peter a mettere in scena la storia di Dutroux. Discutono e si attribuiscono i ruoli. Quello del mostro viene prevedibilmente riservato a Peter. Dopo la rievocazione della vicenda di Patrice Lumumba, iniziano i cinque pezzi, o scene, introdotti da una didascalia e messi in scena attraverso un triplice piano: linguaggio cinematografico nella proiezione dei video sullo sfondo, linguaggio teatrale nell’interpretazione dei piccoli interpreti e metateatrale nei momenti di disvelamento condotti da Peter.
Si susseguono cinque pezzi tutt’altro che semplici: “Padre e figlio”, “La polizia”, “Saggio sulla sottomissione”, “Soli di notte”, “Cosa sono le nuvole?”.

In “Padre e figlio” un bambino invecchiato interpreta il padre di Marc Dutroux. Triste per la funesta popolarità di cui è stato investito dopo l’arresto del figlio, l’anziano genitore racconta la propria gioventù in Congo, dove visse con la moglie e il figlio per pochi anni. Rivela particolari scabrosi: la relazione extraconiugale della moglie con uno studente e le proprie infedeltà. Il matrimonio durò poco. Quando tornarono in Belgio, marito e moglie divorziarono.

In “La polizia” la sfumatura politica si fa più vivida. Protagonista dell’episodio è un bambino che interpreta un poliziotto belga coinvolto nell’arresto di Dutroux. L’infanzia e l’adolescenza in una famiglia formata da giovani genitori hippy; la vocazione alla vita militare, forse proprio in segno di rifiuto verso il modello educativo proposto, e il conseguente rapporto conflittuale con i genitori rendono grottesca la situazione. L’agente-bambino racconta anche i dettagli dell’indagine su Dutroux, non lesinando dubbi sul corretto comportamento della polizia belga, su passi falsi e “dimenticanze” durante le ricerche.

“Saggio sulla sottomissione” è l’episodio più brutale. L’orrore viene a galla, esibito al pubblico da una candida bambina che interpreta una delle vittime di Dutroux mentre scrive una lettera ai propri genitori. A condurre il gioco è Peter, che invita con forza la bambina a spogliarsi e a rimanere in intimo. Sono parole terribili quelle che scandiscono l’atroce violenza.
La platea diventa complice del meccanismo di sottomissione e suo malgrado voyeur di un’infanzia violata. Del resto la tv del dolore da anni ci ha abituato a questo tipo di linguaggio.

In “Soli di notte” un bambino e una bambina interpretano i genitori delle vittime. Vengono ricostruiti diversi momenti: il bambino-padre rievoca l’accaduto, dalla scomparsa alle estenuanti ricerche, fino all’amara scoperta. I momenti strazianti sono temperati in parte dalla metateatralità.

“Che cosa sono le nuvole?” è infine una citazione del cinema pasoliniano. I bambini, vittime innocenti del mostro di Marcinelle, hanno lo stesso triste destino delle marionette del teatro manovrate da Totò e Ninetto Davoli, che vedono le nuvole solo quando finiscono in discarica.

Milo Rau porta in scena uno spettacolo che parla del male in una delle sue manifestazioni più orride. Con una fine tecnica di straniamento prepara il terreno allo svelamento della truce verità, raccontando il male che attraversa noi e la nostra quotidianità livida.
Impiegando come sua abitudine la commistione di diversi linguaggi, dall’inchiesta giornalistica al set cinematografico, con intento documentario, il regista svizzero tesse un trattato sulla malvagità, la sottomissione e la manipolazione che la sottendono.
Se i bambini, in virtù della loro ingenuità e purezza, sono facilmente influenzabili, non si può non riconoscere in loro, oggi, un’adultizzazione precoce, rivelata ad esempio dalla conoscenza di atroci fatti di cronaca. Parallelamente il mondo adulto appare tutt’altro che consapevole, diventando suo malgrado complice della sottomissione.
Cinque episodi per nulla facili né da realizzare né da fruire, per uno spettacolo che ancora una volta sviluppa il proprio intenso magma di contenuti creando forti legami tra dimensione politica, psichica e poetica.

Five Easy Pieces
ideazione, testo e regia: Milo Rau
testo e performance: Aimone De Zordo, Fons Dumont, Arno John Keys, Blanche Ghyssaert, Lucia Redondo, Pepijn Siddiki, Hendrik Van Doorn, Eva Luna Van Hijfte
performance film: Sara De Bosschere, Pieter-Jan De Wyngaert, Johan Leysen, Peter Seynaeve, Jan Steen, Ans Van den Eede, Hendrik Van Doorn, Annabelle Van Nieuwenhuyse
drammaturgia: Stefan Bläske
assistente alla regia e performance coach: Peter Seynaeve
ricerche: Mirjam Knapp e Dries Douibi
scene e costumi: Anton Lukas
video e sound design: Sam Verhaert
cura dei bambini e assistente alla produzione: Ted Oonk
coach musicale: Herlinde Ghekiere
coach per l’articolazione vocale: Françoise Vanhecke
scenografie: Ian Kesteleyn
tecnica: Bart Huybrechts, Korneel Coessens, Piet Depoortere
seconda camere: Alexander Van Waes
sound video: Henk Rabau production management: Wim Clapdorp, Mascha Euchner-Martinez, Eva-Karen Tittmann tour management: Leen De Broe diffusione: Marijke Vandersmissen produzione: CAMPO & IIPM
produttore esecutivo: CAMPO
foto: Phile Deprez

durata: 1h 40’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Milano, Triennale – Teatro dell’Arte, il 15 ottobre 2017

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