Dieci spettacoli in tre giorni, e poi il tempo prezioso del confronto e della condivisione di poetiche, progettualità, percorsi artistici.
Dal 21 al 23 ottobre gli spazi e le ampie sale del Castello Svevo di Cosenza hanno ospitato il Focus Calabria, progetto ideato e diretto dalla compagnia Scena Verticale, in partenariato col Comune di Cosenza, MiBACT e Regione Calabria, nell’ambito del Progetto More, un progetto di residenza triennale, avviato nel 2012 ospitato al Teatro Morelli di Cosenza, conclusosi nel maggio dello scorso anno ma proseguito grazie ad un co-finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività culturali.
Questo ha permesso di portare a Cosenza alcune tra le principali novità italiane tra gli under 35 e di dare continuità a progetti di formazione aperti al territorio e avviati negli anni precedenti. Una esperienza multiforme di progettazione e sperimentazione artistica, che conferma ancora una volta l’attenzione della compagnia, nata a Castrovillari nel 1992, fondata da Saverio La Ruina e Dario De Luca, non solo alle istanze ed alle proposte del teatro contemporaneo che da 17 anni trovano voce nel festival Primavera dei Teatri (spazio privilegiato d’incontro teatrale tra artisti, operatori, critici e pubblico proveniente da tutta Italia), ma anche alla realtà calabrese, in parte mostratasi in un eterogeneo panorama di voci durante la tre giorni cosentina.
Il Focus Calabria è stato pensato come occasione per presentare al pubblico artisti emergenti e conosciuti, lavori in divenire e anteprime, progetti che, anche grazie alla presenza di un osservatorio critico, hanno ottenuto un confronto utile alla loro prosecuzione e quella visibilità che talvolta faticano ad ottenere.
Il dibattito tra osservatorio critico e artisti, alla presenza di un pubblico sempre partecipe e attento, è divenuto spazio di apertura e condivisione tra scena e platea. Un progetto in cantiere da tempo, come ci aveva anticipato a luglio Settimio Pisano, direttore organizzativo di Scena Verticale, che si è dimostrato «una vera e propria festa del teatro calabrese – come ci ha confermato Pisano – Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, ovvero raccogliere il bisogno forte di confronto tra artisti. Non volevamo fare la solita rassegna di teatro ma qualcosa che avesse un significato importante per gli artisti. È stata una bella vetrina per il panorama teatrale calabrese che ha presentato quanto di più interessante il territorio propone; i critici intervenuti hanno riscontrato una grande capacità da parte delle compagnie ospiti a mettersi in gioco. Per questo progetto abbiamo deciso di utilizzare la formula del festival, perché corrisponde alla nostra vocazione artistica, al nostro modo di lavorare e di fare teatro. Ci interessa, infatti, creare iniziative che possano far partecipare tutti, artisti, pubblico, giornalisti e in più spazi della città».
Il Castello Svevo ha ospitato proposte differenti, tra debutti, letture sceniche e drammaturgie in fieri, talvolta costruite attorno al nucleo familiare, luogo dove il conflitto deflagra o resta sopito. Molto spazio anche a pagine di storia recente della Calabria, per cercare di dare universalità a figure poco note, attraverso narrazioni il più delle volte monologati. Voci, storie e percorsi eterogenei, al centro di una riflessione di ampio respiro per sperimentare percorsi, animare un confronto sul sistema teatrale calabrese e dibattere delle poetiche e non solo delle politiche culturali della regione, che spesso non rispondono alle reali esigenze degli artisti e del territorio.
Pochi spettatori a replica per lo spettacolo itinerante “La città e il desiderio”, percorso interattivo sensoriale alla scoperta della propria città interiore immaginata per gli spazi suggestivi del Castello, a cura di Confine Incerto e Conimieiocchi, un cantiere teatro interattivo sensoriale a cui gli spettatori sono stati chiamati a partecipare, una sorta di gioco teatrale che diventa atto poetico.
In “Formiche” in scena due uomini, Saverio Tavano – anche autore e regista, per uno spettacolo della compagnia Nastro di Möbius – e Alessio Bonaffini, inquieti e spaventati. Chiusi dentro ad una stanza mentre fuori qualcosa di terribile ed apocalittico è accaduto, cercano di sopravvivere tra precarietà delle azioni e senso di alienazione, dando vita ad uno stimolante scambio drammaturgico.
Scena Nuda ha presentato “Un vecchio gioco”, regia di Filippo Gessi, riflessione sulla natura violenta dell’uomo, che si sviluppa in un gioco delirante in cui un mondo quotidiano si alterna a uno visionario e da incubo.
È un primo studio “Tette – Mastoplastica alimentare” della Compagnia Ragli, una riflessione sul tema della dimensione estetica del cibo, ambientata in un inquietante futuro prossimo, le cui distopie appaiono talvolta profetiche previsioni di ciò che potrebbe accadere. Al centro della narrazione le vicende di due fratelli/scienziati che fanno a gara a riprodurre in laboratorio cibi perfetti alla vista, ma completamente artefatti.
Il Teatro della Maruca ha presentato in anteprima “Il servo di Amleto”, regia di Gaspare Nasuto, di e con Alessio Totaro, impegnato a dar voce ad una personale visione delle vicende del principe di Danimarca, come fossero raccontate da uno sguardo esterno, al contempo partecipe e affettuoso, attingendo ai gesti e alle modalità del teatro di figura.
Performance/concerto, il “Rock Oedipus” prodotto da Teatro Rossosimona, di e con Manolo Muoio, si muove tra oggetti feticcio, memorie narrate, parole recitate e brani cantati. Un Edipo front-man, re-guaritore, re-sciamano che invita il pubblico in un “piccolo-privato-perverso” immaginario rock.
Lettura scenica dal ritmo scorrevole quella proposta da Francesco Aiello: “L’incidente – io sono già stato morto” è un affresco dei rapporti familiari che si confrontano con la malattia e con le crepe e le inquietudini che da essa derivano.
Moderno cantastorie, Nino Racco, con “Opera Aperta – In memoriam Rocco Gatto”, ha trasformato in intenso percorso poetico, fatto di gesto, voce e narrazione, per recuperare la memoria della dolorosa vicenda umana di Rocco Gatto, vittima della ‘ndrangheta, ucciso per aver pubblicamente dichiarato il suo no alla mafia. Un eroe sconosciuto, la cui morte viene sublimato nell’ultimo struggente, doloroso canto.
È un emigrante come tanti, Joe Zangara, l’infanzia nei campi calabresi, poi la ricerca di fortuna negli Stati Uniti, tra lavori pesanti e la voglia di opporsi agli oppressori. La sua vicenda, a partire dal memoriale dello stesso Zangara al centro de “La mia idea. Memoria di Joe Zangara”, di Ernesto Orrico, in scena insieme a Massimo Garritano, produzione Zahir. Racconto in prima persona del piccolo emigrante calabrese giustiziato nel 1933 per aver attentato alla vita del presidente Roosevelt.
A chiudere la tre giorni al teatro Morelli “Francesco e il Re”, testo di Vincenzo Ziccarelli, messo in scena da Adriana Toman, Compagnia Arciere. Sulla scena quadri monocromatici e statici, per rievocare figura, gesta, peregrinare del santo Francesco Di Paola.
Un mosaico di voci, quello proposto, eterogenee tra loro, per un panorama di proposte da cui sono emerse alcune idee e percorsi interessanti e personali. Ma soprattutto un’occasione utile sia per gli artisti, che hanno potuto raccogliere spunti e stimoli per crescere nel confronto, sia per il pubblico, che ha bisogno di porsi davanti a spettacoli che ne intercettino i gusti e i desideri, ma al contempo siano capaci di sollevare dubbi, curiosità, riflessioni.
Il teatro calabrese, aldilà di alcune compagnie e alcune esperienze, fatica a farsi ascoltare e ad arrivare ai circuiti nazionali: un focus di questo tipo, che mira a costruire sinergie e tessere relazioni, diventa quindi occasione preziosa per fare sentire la propria voce e le sue istanze.