Il teatro italiano ha nel suo ventre tesori, spesso sommersi, che troppe rare volte ha il coraggio di far riemergere; e che sta soprattutto agli spettatori più curiosi e attenti saper ripescare, nel mare delle migliaia di proposte che il teatro contemporaneo ci offre.
Uno di questi è la compagnia formata da Alberto Astorri e Paola Tintinelli che da molti anni, caparbiamente, seppur relegata troppo spesso ai margini, porta avanti un teatro per sua natura slabbrato, ispido, spesso contraddittorio, ma che, combattendo attraverso armi povere ma puntute, contiene dentro di sé i germi più autentici di una drammaturgia amara che indaga nel presente, utilizzando spesso gli schemi della classicità.
“Mac & Beth”, “La ballata di Woyzzecco” e “Il sogno dell’arrostito” sono stati esempi illuminanti di questo modo di interpretare la scena. Così ci è parso in modo profondo “Follìar”, il loro ultimo spettacolo, visto al milanese Teatro della Contraddizione, sala, non a caso, seminterrata, che fa una programmazione mirata e di pregio, attenta ai fermenti più autentici, spesso nascosti, del teatro italiano.
In scena Alberto Astorri e Paola Tintinelli sono un capocomico iroso, sempre stretto in pensieri che sembrano esulare il presente, e il suo aiutante stralunato, che interloquiscono tra loro chiamandosi zio e cugino. Entrano in scena, miseri come sono, in camicia e mutande, arrivando da fuori, dalla “realtà” che, di quando in quando, osservano da una piccola finestra. La osservano, la realtà, un poco schifati, cercando di interpretarla sul palcoscenico, mettendo in scena un teatro che non ha capo né coda, protagonista una mosca, che non si presta per niente al loro gioco. Anzi, forse sono stufi di rappresentarla, attraverso il teatro, quella realtà, così immutabile, o meglio che vedono inconsolabilmente peggiorare di giorno in giorno.
Zio e cugino provengono da un teatro illustre, parenti dei beckettiani Hamm e Clov (il primo è cieco e indossa occhiali neri e smoking, il secondo veste bretelle e bombetta), forse anche di Estragone e Vladimiro, di cui ripetono persino le battute. Ma il riferimento più lampante è probabilmente lo zietto Lear, se a un certo punto Astorri, furente, si lancia nella famosa invettiva: “Soffiate, venti, a squarciarvi le guance! Cateratte del cielo ed uragani, rovesciatevi a fiumi sulla terra” (Re Lear, atto 3, scena II).
Come il re scespiriano, tradito dalle figlie e costretto a vagabondare nel deserto, privato del suo regno, Zietto e il suo “matto” cugino sono infatti costretti a vagabondare, nella loro follia, in un teatro non più capace di penetrarla, la realtà, e che là fuori urge con tutte le sue contraddizioni.
“Sparire o sparare” è l’alternativa che hanno d’innanzi. Allora preferiscono ritornare all’infanzia, l’unica ancora capace di interpretare ciò che hanno davanti, attraverso lo stupore folle di una palla, rilanciata verso il pubblico.
Alberto Astorri e Paola Tintinelli sono clown spauriti, sempre in attesa che il futuro possa riservare – nonostante tutto – qualche sorpresa, in un mondo in continuo declino. Sempre vigili, ci restituiscono un teatro ancora in grado di far vibrare le corde dell’intelligenza e della passione, a cui la sala, strapiena di pubblico, riserva una vera e propria standing ovation.
FOLLìAR
di e con Alberto Astorri e Paola Tintinelli
una produzione AstorriTintinelli
durata: 1h 10′
Visto a Milano, Teatro della Contraddizione, il 3 novembre 2017