Forever Young 2020: tra i cinque finalisti vince La Gloria di Sinisi

Alessandro Bay Rossi
Alessandro Bay Rossi

Ideato e promosso da La Corte Ospitale di Rubiera, Forever Young è una delle poche ghiotte occasioni che il nostro teatro ci propone per assistere in anteprima a nuove creazioni di giovani compagnie.
Il 7 e l’8 ottobre Rubiera ci ha quindi accolto per assistere ai cinque spettacoli delle compagnie finaliste di questa terza edizione (selezionate tra oltre 160 candidature pervenute), che nel corso dell’anno hanno anche avuto la possibilità di usufruire di un periodo di residenza artistica nella cittadina emiliana per sperimentare il progetto.
Un luogo magico, la Corte Ospitale, nomen omen, è proprio il caso di dire, dove tra antiche pietre e immerso nel verde, il teatro può essere pensato e agito liberamente, accudito da persone a cui sta a cuore veramente, anche e soprattutto in questi tempi di pandemia.

Alla fine dei due giorni della kermesse, alla compagnia decretata vincitrice da una giuria qualificata di operatori ed esperti del settore viene riconosciuto un premio di produzione pari a € 8.000; in più la Corte Ospitale accompagnerà la compagnia nella distribuzione dello spettacolo vincitore per la stagione seguente.
A seguito di un accordo stretto con l’associazione Hystrio, lo spettacolo vincitore sarà anche ospitato a Milano all’interno delle giornate dedicate al Premio Hystrio nel 2021.

In scena a Rubiera cinque spettacoli assai diversi tra loro, che ci hanno ben testimoniato le varie e diversificate possibilità di approccio al teatro delle varie compagnie, che in qualche modo ci aiutano anche a capire verso quali direzioni si muovono le nuove generazioni di artisti.

Abbiamo così assistito alla messa in scena di un testo originale di un drammaturgo italiano, Fabrizio Sinisi; ad un’altra tradotta invece da un autore contemporaneo scozzese, Douglas Maxwell; alla rivisitazione di un testo del primo Novecento, “Notte all’ italiana” di Ödön von Horváth; a una performance che mescola il teatro di figura con altri linguaggi e infine ad un progetto curato da una giovane autrice, Giulia Bartolini, che ne ha curato anche la regia.

La giuria, formata in modo intelligente da operatori che possano anche far circuitare i gruppi partecipanti, è composta da Claudia Cannella (Hystrio), Giulia Guerra (La Corte Ospitale), Carlo Mangolini (Teatro Stabile del Veneto), Fabio Masi (Armunia), Gilberto Santini (AMAT), Fabio Biondi (L’Arboreto-Teatro Dimora) e Giulia Delli Santi (Teatro Pubblico Pugliese).

Una giuria che in questa edizione ha assegnato la vittoria, giudizio anche da noi condiviso, a “La Gloria” di Fabrizio Sinisi, regia Mario Scandale, interpretato da Il Crepuscolo, con un trio ben affiatato di giovani attori, fra cui spicca Alessandro Bay Rossi nei panni della difficile caratterizzazione di un giovane Adolf Hitler, visto in un periodo quasi sconosciuto della sua vita, quando, nel 1907, appena ventenne, insieme all’amico August Kubizek, si trasferì da Linz a Vienna: lui con lo scopo di entrare all’Accademia di Belle Arti per diventare un grande pittore, l’altro per essere ammesso al Conservatorio.

Il rapporto tra i due ragazzi proposto da Sinisi – con i loro sogni e le frustrazioni, tra cui si incunea la loro amica Stephanie – evidenzia in modo chiaro e poeticamente leggibile tutto lo spirito tragicamente folle del futuro dittatore, sempre pronto ad ingannare se stesso e gli altri per raggiungere una gloria terribile, che coinvolgerà in modo tragico milioni di persone.
Tutto ciò viene modulato anche con un lampante riverbero alla contemporaneità, senza sottolineature didascaliche di sorta.

La medesima corrispondenza avviene, in modo ancora più evidente, in un altro spettacolo finalista, seppur attraverso toni più nebulosi: “Notte all’italiana” di Fabio Pisano, con la regia di Michele Segreto, rilegge il testo del 1931 del commediografo austriaco Ödön von Horváth, immettendo la vicenda in un’epoca volutamente non ben manifesta ma densa di evidenti riferimenti alla nostra.
Nel testo immaginato da Pisano, la politica è divisa nettamente in due: Repubblicani da una parte e Sovranisti dall’altra; è in questo contesto che, attraverso vari personaggi, si parla, tra passato e presente, soprattutto di ideali, in un’epoca in cui gli esponenti politici paiono desueti, non sapendo più interpretare la realtà, proprio quando bisognerebbe invece stare in guardia verso i rigurgiti del fascismo.

Ecco dunque il vecchio Consigliere di partito che incarna un mondo ormai consunto, ingenuamente contento delle proprie fragili conquiste, e sempre pronto a brindare a un mondo di cui è convinto di conoscere tutti limiti e le possibilità; un suo compagno è invece ancora irriducibile nelle sue convinzioni, assolutamente certo che il mondo debba essere cambiato; un altro ancora, sodale dei due, pensa infine soprattutto all’amore, mentre fuori frange di fascisti minacciano di distruggere ogni cosa.
Sullo sfondo, forse troppo in disparte, ci sono due donne, una delle quali si offre in modo convinto per svelare i contorni di un gioco molto pericoloso.

Delle cinque proposte, è questo forse lo spettacolo più necessario; per esserlo in modo ancor più profondo, dovrebbe essere sfrondato di troppe ridondanze, per andare meglio al cuore di ciò che vuole svelare.

Della famiglia, ma non solo, parla invece un altro spettacolo che abbiamo accolto con favore, “Canaglie” di CARLeALTRI, dove la regista e drammaturga Giulia Bartolini indagando, attraverso uno stile parossistico e spumeggiante (soprattutto nella prima parte), il tema in questione, ci offre un godibilissimo apologo molto attuale intorno all’eterna lotta tra il bene e il male.
La famiglia messa in scena è composta da una madre e tre figli e rimanda al cinema noir, ma non solo (ci ha ricordato anche il “Clan dei Barker” di Roger Corman), dove la donna, l’efficace Giulia Trippetta, ha il solo proposito di trasmettere ai suoi discendenti tutti i meccanismi per poter vivere con l’imbroglio alle spalle degli altri.
Il maggiore, il prediletto, parrebbe continuare agevolmente sulla sua stessa strada; la più piccola invece si finge invalida per poter impietosire il prossimo, mentre l’ultimo, per propria natura poco incline al delitto, vorrebbe uscire dal vortice in cui è stato catapultato. Ma, come si sa, il male chiama sempre il male, e alla fine proprio il male ne chiederà il conto.

In modo sempre sopra le righe lo spettacolo, dichiarato come un vero e proprio fumetto in bianco e nero, pur con qualche sbavatura troppo insistita, ci è parso un amaro divertissement di buona fattura, parente prossimo di quel “Senza famiglia” di Magdalena Barile.

Charlie Sonata
Charlie Sonata

Più difficoltosa la visione degli altri due progetti presentati, “Charlie Sonata” della Compagnia DeiDemoni/Enchiridion e “Born ghost” di Coppelia Theatre.
Mauro Parrinello, in “Charlie Sonata”, sceglie un testo inglese di Douglas Maxwell che, attraverso la metafora della fiaba, intende parlare di temi quali “il fallimento individuale, la caduta nell’alcolismo, il tramonto delle illusioni”, mettendo al centro un personaggio emarginato che accorre al capezzale della figlia del suo migliore amico, finita in coma dopo un incidente, per cercare di salvarla.
Ma lo spettacolo non riesce a farci entrare in modo congruo nella vicenda, sballottati qua e là come siamo da una messa in scena che ci è parsa confusa, in cui anche le quinte semoventi, scelte come meccanismo principe dello spettacolo, non riescono a delineare efficacemente tutti i meccanismi emotivi dentro cui si muovono i personaggi intorno al protagonista.

Più interessante, sulla carta, “Born Ghost” di Coppelia Theatre, dove la pur brava Mariasole Brusa, che conosciamo valente artista di teatro di figura in altri progetti, si avventura in una performance assai complessa, nella quale coesistono troppi linguaggi che si intersecano tra loro, rendendone difficoltosa la visione e la comprensione.
Al centro di “Born Ghost” c’è la leggenda che vede come protagonista il fantasma di Azzurrina di Montebello, una bambina albina, scomparsa in circostanze misteriose nel 1375. Tuttavia sono troppi i linguaggi messi in atto; a nostro avviso, riconducendo lo spettacolo soprattutto al solo aspetto visivo, dove il teatro di figura avrebbe la possibilità di emergere in tutta la sua potente espressività, “Born Ghost” possederebbe la capacità evocativa di restituirci tutte le suggestioni della misteriosa vicenda.

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