Una scena onirica di pannelli e cubi al neon, a formare un occhio. Una pupilla grande come un mappamondo. Quattro attori dentro questa mandorla metafisica, rannicchiati, straniti, addormentati. Ansie, sospiri, affanni: il sonno della ragione genera mostri?
Risveglio. Sguardi freddi fissano il pubblico. Chi osserva chi? Siamo noi lo spettacolo, o ce l’abbiamo davanti? Siamo tutti protagonisti di un indistinto surreale, vita inerte scrutata da un occhio disanimato?
“Frammenti di contemporaneità” del Teatro del Simposio, progetto e regia di Francesco Leschiera e Chris White, con Ermelinda Çakalli, Alessandro Macchi, Riccardo Buffonini e Luigi Maria Rausa, di scena in prima nazionale alla Cavallerizza del Teatro Litta di Milano, è un’opera criptica. Esplora quel mondo alieno che è la vita.
La location con le sue pareti grezze – gli spettatori attorno e dentro lo spettacolo – ben si adatta alla poetica straniante di Martin Crimp. Come i suoni di scena di Antonello Antinolfi, spezzati, mix elettronico sibilante e minimalista. Assistiamo alla disintegrazione del suono armonico attraverso l’uso di dissonanze, feedback e distorsioni, in sintonia stridente con le voci degli attori.
Di Crimp, Leschiera monta frammenti sparsi di quattro opere: “Consigli alle donne irachene” “Meno emergenze”, “Faccia al muro” e “Cielo tutto blu”. Inutile cercare un filo narrativo: è già oscura una singola opera di Crimp, figuriamoci quattro centrifugate insieme. Per non parlare di una certa predisposizione di Leschiera all’ermetismo.
Questo collage che la scenografia enfatizza – il cubo come modulo di riferimento – è movimento continuo, disordine claustrofobico. Cadiamo, ci rialziamo. Sprofondiamo, ci risolleviamo.
I personaggi con le loro vite s’intersecano secondo combinazioni quantistiche. L’ansia accompagna i gesti più banali. La recitazione è frenetica.
È un incessante ridefinirsi anche del linguaggio. Le voci si sovrappongono in una babele. Ciò che sembra non è: una ninna nanna diventa nenia funebre. Non resta che il rifugio nei luoghi comuni, vana speranza di esistere aggrappandosi a una saggezza stantia.
Leschiera e White rappresentano per flash la civiltà contemporanea. Seguono un filo disarticolato. Però quest’elaborazione con le luci da luna piena (appunto) di Luna Mariotti e i costumi di Ilaria Parente arriva nelle viscere come una lama: a trasmettere le paure nascoste, i sentimenti crudeli, i deliri perversi degli uomini. In una percezione meccanica, non spirituale, delle emozioni.
I personaggi sono decentrati: non individui, ma numeri. Non persone (corpo e spirito). Neppure animali. Piuttosto anomalie: in ripiegamento verso una fisicità spoglia.
La quadratura del cerchio non si realizza mai pienamente. Trova una qualche composizione nella coralità.
I costumi lunghi ed eleganti, con venature bianche filiformi ispirate ad Alberto Giacometti, perseguono una poetica vanamente introspettiva. I cubi, componibili come maxi Lego, prefigurano glaciali scenari futuribili. Poco o nessuno spazio per i sentimenti personali: ognuno parla degli altri, nessuno affronta il proprio io.
Chi partecipa a questo rito esoterico ben congegnato (solo a tratti un po’ spigoloso) estrapola un proprio personale frammento: lo completa in base alla propria sensibilità. Ci sentiamo interrogati. Una battuta dice: “I figli cementano il matrimonio”: quanti di noi possono riconoscersi?
Sono frasi che fanno riferimento all’amore e alla stanchezza dei sentimenti, all’infanzia e alle regole, alla guerra, al pericolo, alla paura. Avviano una miriade di percorsi personali. Percepiamo quel senso di decadimento morale, compromesso e violenza.
Eppure non ne usciamo sconfitti né rassegnati. Siamo al centro di un processo catartico che, senza mai veramente disperderla, perlomeno dirada la desolazione spirituale di fondo.
Frammenti di contemporaneità (Meno emergenze)
di Martin Crimp
progetto e regia: Francesco Leschiera e Chris White
con: Ermelinda Çakalli, Alessandro Macchi, Riccardo Buffonini, Luigi Maria Rausa
scene: Francesco Leschiera
costumi: Ilaria Parente
luci: Luna Mariotti
elaborazione e scelte musicali: Antonello Antinolfi
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 2’ 30’’
Visto a Milano, Teatro Litta, il 21 novembre 2014