Frankenstein di OHT: Office for a Human Theatre tra ‘mostro’ e ambiente

Frankenstein (ph: Andrea Macchia)
Frankenstein (ph: Andrea Macchia)

Al suo debutto assoluto per la stagione TPE di Torino, l’opera di Mary Shelley diventa spunto di riflessione anche sull’emergenza climatica

“Frankenstein o il moderno Prometeo”, oltre a risvegliare i nostri ricordi di fantascienza, si dimostra precursore del destino ambientale. Da questo romanzo gotico OHT – Office for a Human Theatre ci presenta “Frankenstein”, una nuova produzione in prima assoluta al Teatro Astra di Torino, casa della Fondazione Teatro Piemonte Europa.

E’ la prima volta che OHT si misura con un classico e lo fa creando, nella propria versione, il medesimo cortocircuito alla radice dell’opera del dottor Victor Frankenstein, invitandoci alla privazione del solito giudizio umano.

La prima stesura di Mary Shelley risale al 1816, durante una delle più forti anomalie climatiche mai registrate dall’uomo, provocata dalla fortissima eruzione (la più potente che si conosca) del vulcano Tambora, nell’isola indonesiana di Sumbawa, un fenomeno così violento che causò quello che venne definito l’“Anno senza estate” a causa dei continui temporali e degli abbassamenti delle temperature, o anche l’“Anno della povertà”, per la perdita di moltissimi raccolti sia negli Stati Uniti che in Europa, distrutti dalla cenere vulcanica e dai gas cancerogeni sparsi per tutta l’atmosfera terrestre. 

Proprio da questa tensione, il pubblico si addentra sotto la pioggia a prendere posto nel laboratorio, partecipe al divenire: una distruzione climatica che durerà più di 48 ore. La metafora che si percepisce è quella della creazione, della frenesia umana e dell’abbandono; ed è proprio sotto la pioggia che la preparazione del rito, dell’accensione del fuoco, dell’innescamento, in contrasto con il diluvio universale, prende forma. Fuoco che può essere generato anche dalla natura stessa: dai fulmini, dal troppo calore o dai materiali infiammabili. E come si crea, così si disfa.
Giorno e notte, caldo freddo, amore dolore, pace e caos. Il demone e il paesaggio diventano tutt’uno mentre Victor Frankenstein non sembra più in controllo di ciò che lo circonda.

Questa volta, a dar corpo e voce a questo evocativo “mostro”, sono due straordinarie donne, rispettivamente nei panni di Frankenstein (Silvia Costa) e del Dottore F. (Stina Fors).
L’italiano e l’inglese sono i caratteri che distinguono i due personaggi, come se la coscienza del dottore fosse approdata – per qualche bizzarro caso o mediante una casualità di formule ingegnate – dentro al corpo del soggetto tanto bramato.
Parrebbe proprio la corda più esile e tetra di donna a rispecchiare la mera ingenuità di questo essere chiamato Mostro – e che tale non vuol affatto essere – producendo l’esatta malinconia di vivere senza essere riconosciuto e di essere criticato per il solo aspetto. Lui/Lei deve imparare a leggere da solo e a socializzare – come fa un* bambin* quando vuole imparare a camminare – tra le cavità del Monte Bianco e i dislivelli alpini -, punti precisi che vengono proiettati su un telo in proscenio, che si mostrano come segnalibro di una crescita personale incessantemente destabilizzata, ma con altrettanta voglia d’esplorazione. La vita è fatta di punti, e di a capo.

Aspetto ostico da intendere, tanto quanto la messa in scena del regista Filippo Andreatta, che vuole gettare in faccia al pubblico tutto tranne che la scontata rappresentazione del romanzo di Mary Shelley,  bensì una lettura scenica che tocchi anche il nostro attuale sviluppo consumistico. Un liquido, questo, ormai giunto tra l’acqua della terra, impregnato nel sottosuolo, come i rifiuti tossici, dando la prova che l’occulto è ormai filtrato da tempo nella nostra società e in quella di Frankenstein. Un’operazione generata e debellata, come è solito fare all’uomo ostinato e sovversivo; un rischio che si prende remando verso qualcosa più grande di sé, come Prometeo ci ricorda bene con il fuoco rubato agli Dei e regalato all’umano, spezzando così il patto di sangue che, nello spettacolo, vuole avvalersi del nostro sistema irrecuperabile.
L’allegoria sta nel nuovo mondo del metaverso, che prende vita portandoci, forse, proprio in questa direzione. Al macello. Succubi d’un desiderio irrefrenabile che governa le nostre emozioni obliando il nostro vero ascolto: quello del cuore.

La scena (firmata dallo stesso Andreatta, d’impatto ed estremamente funzionale) richiama l’alcova elettromagnetica del dottore, offrendoci un destro sulle intenzioni diaboliche che è in grado di supportare. Un cervello sospeso da cavi elettrici e tubi idraulici, a mo’ di macchina intensiva, teli ricoperti di numeri ed equazioni, e un ventilatore che sembrerebbe palpitare di luce, constatano i tentativi d’avvio del cuore, il quale prende vita sotto suoni incessanti di motori trifase, destabilizzando l’apice della manovra. Un battito mostruoso, prima acceso e poco dopo spento, come si fa con un mozzicone dentro l’acqua.
Ma l’invenzione ci parla, rammentandoci – con voce distorta – alcune cose della legge universale: “Occorre articolare ed allenarsi per comprenderne i risultati”. Pensiero che purtroppo si annienta sotto il suo stesso gemito, entrandoci fin dentro le viscere, e scaldandoci i ricordi sul possibile “domani”. Quel che ci resta per non essere sciolti da un calore non nostro.

I suoni maniacali di Davide Tomat giocano una leva efficace tra i corpi, i motori e le intenzioni mosse sulla scena, donandoci persino i fiati dell’iniziato e dell’iniziando; partorendo effetti assordanti simili ad un urlo materno, o lievi come il ticchettio d’una tastiera giocattolo. Tutto, in assoluto sincronismo.

Attorno a questo spettacolo d’impatto sono stati ideati dalla compagnia anche un radiodramma, un album musicale, una reading session e l’installazione “Astra Dark Interior”, pensata proprio per gli spazi del Teatro Astra e visitabile fino al termine della stagione teatrale, ulteriori stratificazioni della sperimentazione di OHT a partire da questo celebre romanzo.

FRANKENSTEIN
performance di OHT Office for a Human Theatre
regia e scena Filippo Andreatta
suono e musica Davide Tomat
performer Silvia Costa, Stina Fors
assistente regia Veronica Franchi
luci Andrea Sanson
responsabile allestimento Cosimo Ferrigolo
costumi Lucia Gallone
sculture di scena e automazioni Plastikart Studio
busto di cera e maschere Nadia Simeonkova
fondale dipinto Paolino Libralato
tecnico Orlando Cainelli
stage tecnico Rebecca Quintavalle
amministrazione Lucrezia Stenico
sviluppo Anna Benazzoli
fotografie Giacomo Bianco
teaser Anouk Chambaz
produzione OHT co-produzione TPE Teatro Piemonte Europa, Snaporazverein (CH), Opera Estate festival residenza artistica Centrale Fies, CSC S. Chiara di Trento
con il contributo di MiC, Provincia Autonoma di Trento, Fondazione Caritro di Trento e Rovereto OHT è associata al CSC S. Chiara di Trento

Visto a Torino, Teatro Astra, il 9 febbraio 2023
Prima assoluta

 

 

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