Full Moon. Spellbound Contemporary Ballet va sulla Luna

Il debutto di Full Moon (photo: Paolo Porto)
Il debutto di Full Moon (photo: Paolo Porto)

Che ci crediate o no, l’uomo è andato sulla Luna. A onta delle pur curiose teorie complottistiche che immaginano una messinscena –più affascinanti della storia che vorrebbero dissacrare solamente per uno spirito mediocre –, l’uomo c’è stato, con tanto di scafandri, elmetti a pallone e movenze infantili. Teneramente scomposti, dei tizi hanno camminato sul vergine suolo, alle spalle tutta un’organizzazione vintage di cicalini, spie colorate, relais e cervelloni su di giri per l’impavida impresa.

Che ci crediate o no, in un estivo ma affollato Teatro Vascello denudato delle quinte laterali, davanti a una platea piena di studenti di danza, élite metropolitana dei fisici snelli, delle mise azzimate arricciate rimboccate, delle abbronzature da Torvajanica, che ci crediate o no, anche i danzatori di Mauro Astolfi sono stati sulla Luna. Veramente ci sono stati, innegabilmente, proiettati dalla genialità del loro capomissione in uno spazio alieno.

Ma non bisogna pensare che “Full Moon”, in prima assoluta nel teatro romano all’interno della brillante rassegna estiva di danza Fuori Programma, sia un lavoro da leggersi come narrativo, o mimetico di esperienze astronomiche, né tantomeno cosmonautiche. Esso è uno spettacolo che, al di là dei riferimenti a una trama, a un susseguirsi di momenti di tensione diversa, combinati ad arte per un percorso correttamente variato, non esplora semplicemente un “mondo altro”, non s’imbarca in una missione di scoperta dell’esistente: “Full Moon” costruisce un linguaggio inaudito, e lo fa con tanta maggior radicalità rispetto agli ultimi spettacoli dello Spellbound Contemporary Ballet in quanto rinuncia recisamente all’idea coreografico-descrittiva.

È infatti assente la traccia di un testo forte (come potevano essere i Carmina Burana, i concerti grossi vivaldiani, le sinfonie di Rossini), e persino la stampella della scenografia: il palco è neutro, spoglio, l’unico elemento “tangibile” è la complessa illuminazione di Marco Policastro. Giovandosi di una decina di proiettori motorizzati, oltre che di corpi tradizionali, agisce su questa scena come una seconda musica, cioè non segna la via ma fa da sponda, sottolinea svolte, ambientazioni, caratteri generali. Il discorso dei corpi procede autonomo e forte, quasi muto.

Quei nove corpi, omogenei eppure ognuno non depurato di un proprio carattere somatico di movimento, lasciati sopra lo sfondo semanticamente (e ritmicamente) elusivo, portano con sé, inudibile ma evidente, qualcos’altro, una pulsazione.
Lo si dimostra all’arrivo di una traccia musicale più regolare, più segnata: la pulsazione interna vi si inserisce, si affianca ad essa immediatamente, ma senza mai esserne soggetta. E allora ricorda qualcosa come la versificazione di un testo poetico, la presenza di un reticolo di accenti nascosti nel significante, che agisce all’orecchio ancor prima che all’immaginazione.

Per questo bisognerebbe parlare dell’invenzione di un linguaggio, anzi di un idioma. Ecco, come si assisterebbe a un discorso in una lingua estranea, dalle cadenze diverse e dall’ardita prosodia, sconosciuta nel senso ma affabulatoria nel dettato, “Full Moon” si nega a una pedissequa ricostruzione del contenuto, ma lascia incantati per l’esattezza e la rapidità dei gesti coreografici, per la coerenza e la bellezza delle interazioni fra corpi sempre immateriali, senza frizioni.

Che dunque questo lavoro, sprezzantemente lontano da ogni gesto mimetico o riferibile alla realtà “fuori” per un contatto sul comune pavimento della Terra, preveda o presuma qualche velleità narrativa o rappresentativa, non importa. Alla musica dei corpi appartiene un lirismo strumentale e formale ipnotico, che riesce (quasi) sempre a mantenersi al di qua del sentimentalismo. Una presenza in scena che va definita con una sola parola: assoluta.

Full Moon
coreografia e regia Mauro Astolfi
disegno luci Marco Policastro
musiche varie
interpreti Alice Colombo, Lorenzo Capozzi, Maria Cossu, Pablo Girolami, Mario Laterza, Giuliana Mele, Valentina Staltari, Aurora Stretti, Giacomo Todeschi
produzione Spellbound con il contributo del Ministero per I Beni e le Attività Culturali e del Turismo

durata: 1h  15’
applausi del pubblico: 3’

Visto a Roma, Teatro Vascello, il 21 luglio 2018
Prima assoluta

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