Anna Rosa, l’amante, sprofondata nel letto fino alla vita come la Winnie di “Giorni felici”. Il banchiere Vitangelo Moscarda, protagonista di “Uno, nessuno e centomila” che ascolta le voci di dentro come voci registrate, un rimando al nastro di Krapp.
Il Pirandello di Giancarlo Cauteruccio ha un nostalgico sapore di Beckett. Il regista ha portato a lungo in scena il grande drammaturgo del surreale e affronta il maestro di Girgenti con l’intonazione rivolta all’indagine psicologica e al grottesco del vivere, navigando fra le contraddizioni dell’essere piccolo-medio-grande borghese, il tutto lasciando la porta aperta agli spifferi d’oltremanica.
Dello spettacolo Klp si era occupato un anno fa, spiegando le ragioni di un buon esito scenico, che scorre fra i grandi temi del teatro del Novecento rendendoli attuali e modulando ironia e malasorte, incapacità e finta volontà di autodeterminazione.
L’adattamento per la scena di Giuseppe Manfridi, collaboratore di Cauteruccio, esalta questo aspetto tragicomico che richiama alla memoria alcune maschere del film muto di inizio Novecento, brillantemente indossate, attraverso un profondo lavoro di mimica facciale, da Fulvio Cauteruccio.
Nei camerini della Sala Fontana di via Boltraffio a Milano, teatro che propone quest’anno una stagione ricca di eventi ed interpreti di calibro nazionale, abbiamo incontrato Fulvio: è lui a raccontare a Klp del rapporto con il testo, con il personaggio, con il suo ego e il suo alter ego, il fratello Giancarlo.
Fra Beckett e Pirandello (per tacer del cane), come avrebbe detto Jerome.
La Compagnia Krypton, di cui i fratelli sono la spina dorsale, fonda la sua poetica sull’esplorazione delle tecnologie e della loro applicazione sulla scena e nelle arti, ma anche sul senso dell’ossimoro, della contrapposizione, dell’osare l’illogico, fino al contrario.
Dalla videoinstallazione al cagnetto di casa, quello vero, in pelo e ossa, che nel finale della partita pirandelliana aiuta le riflessioni a voce alta di Moscarda: forse un espediente scenico tardo-futurista, o una dichiarazione d’amore al connubio fra scena e tecnologia che la compagnia Krypton non vuole smentire, proprio per l’attenzione sempre rivolta a voci registrate, video, e altri espedienti di interazione fra i linguaggi. La loro analisi, oltre che sul personaggio, arriva a spingersi fino al rapporto, a volte assurdo e perverso, fra uomo e tecnologia. Non a caso, in questa messinscena, gli abiti di inizio Novecento si contrappongono ad espedienti tecnici e tecnologici via via più moderni. E del rapporto assurdo ci accorgiamo persino scrivendo queste brevi note, in cui dobbiamo ricorreggere i Moscarda che il correttore tecnologico vuole implacabilmente trasformare in mostarda. Problemi che Pirandello e Beckett non avevano, tranquilli al ritmo della stilografica o di una Olivetti d’altri tempi.