Qualche settimana fa ci eravamo trovati a parlar bene del teatro visuale e a lamentarci della sua pressoché totale assenza nel panorama performativo italiano (“A confronto col Mime Fest. Chi ha paura del visual theatre?“).
Con grande soddisfazione, siamo invece in procinto di spezzare una lancia a favore dello sforzo creativo italiano di un maestro che forse non tutti i connazionali conoscono, ma che, con le sue idee, ha davvero costruito da zero un genere.
Lui è Claudio Cinelli, personalità artistica realmente difficile da classificare. La sua è una carriera lunga 35 anni, durante i quali ha avuto occasione di mettere a frutto, raccogliendole sullo stesso palco, esperienze di teatro di figura e opera lirica, passando o forse approdando (diremo appunto con una punta di orgoglio) al vero e proprio teatro visuale.
Che la tradizione lirica e quella del teatro di figura si sfiorassero da sempre le mani lo sapevamo. Che si parli delle marionette praghesi, del cunto e dell’opera dei pupi siciliani, o dei numerosi eventi in cui il teatro di figura sperimentale europeo ha recuperato opere come la “Traviata” di Verdi, “La Bohème” di Puccini o la “Cavalleria Rusticana” di Mascagni per fonderle in spettacoli animati dalla musica, il principio è lo stesso. In Inghilterra, Faulty Optic e Opera North avevano fatto bollire Orfeo di Gluck con pupazzi in tecnica bunraku, creando un inferno da far accapponare la pelle.
Tutto questo per dire che teatro musicale e di figura, sarà che condividono origini antiche, hanno spesso viaggiato su binari gemelli. Eppure, e questa è forse la cosa più interessante, per dare un’idea di “Fuori dalla Norma”, l’ultimo lavoro di Claudio Cinelli, occorre dimenticare anche tutto questo. Ripartire da zero.
“Mani d’opera”, uno dei recenti spettacoli di Cinelli, che già si prendeva gioco delle arie liriche con mani, pupazzi e oggetti, è a tutt’oggi uno degli spettacoli di figura più rappresentati degli ultimi 15 anni. Ma “Fuori dalla Norma”, lo dice già il titolo, compie un passo ulteriore. “Norma” è l’opera di Bellini, e la sua cavatina più celebre è “Casta Diva”, inserita nello spettacolo come vessillo privilegiato del virtuosismo canoro femminile.
Protagoniste sono due donne, una soprano (Bianca Barsanti) e una pianista (Emanuela Longo), verosimilmente due elementi primari per un’esecuzione lirica. Questo resta forse l’unico messaggio definito di tutto lo spettacolo: Cinelli distribuisce sul palco un piano, un secchio contenente diversi oggetti, un teatrino in miniatura. Come fossero reagenti chimici, questi elementi scateneranno la creazione di percorsi narrativi difformi, in continuo mutamento.
Difficile descrivere quello che sembra essere il viaggio allucinato di uno spirito, in continuo passaggio di stato tra oggetto e musica.
In un primo momento l’idea di base sembra essere semplicemente quella della rilettura in chiave ironica di alcune celebri arie, dalla “Traviata” al “Rigoletto” al “Barbiere di Siviglia”. Una volta la scena è rappresentata con gli oggetti, un’altra volta i versi del libretto diventano parodia esilarante a colpi di mimo; un’altra volta, poi, il dramma dell’opera è messo in scena tramite il conflitto tra belcanto e musica. Tutto sommato un’istanza comprensibile. Non fosse che, complici le temibili vibrazioni d’ugola di Barsanti, le supersoniche evoluzioni sulla tastiera di Longo, gli abiti sgargianti e la bislacca divisione in quadri numerati, da un certo punto in poi l’azione subisce una frattura davvero difficile da definire drammaturgicamente, che fa scavallare il tutto verso una tangente completamente trasversale. Come guardando a lungo un quadro tridimensionale appare lentamente la figura nascosta, ascoltando le note e usando una visuale periferica su tutto il palco, poco per volta ci troviamo davanti agli occhi il vivido risvolto inquietante che ogni stravolgimento ironico possiede. Allora quel buffo costume da cameriera signorile indossato da Barsanti, il buffo e instancabile barbaglio delle pailette indosso a Longo, i buffi “sei-nani-più-uno” contenti intorno a una tavola imbandita, il buffo chiamare l’applauso al termine d’ogni aria mostrano pian piano il vero volto: e il buffo si tramuta in inquietante, in grottesco.
Improvvisamente la nostra espressione facciale, oltre a quel sorriso che non riesce a spegnersi, indossa anche un fastidioso naso arricciato, una fronte aggrottata, compone e regge una tensione che si fa fin troppo palpabile. Al punto che gli acuti del soprano, i pollici della pianista che pestano le ottave alte e le loro parole pronunciate fuori dalla musica – poche ed emblematiche come formule magiche – ci fanno sobbalzare e spengono la risata. D’un tratto siamo preda di un racconto multistrato che non comprendiamo davvero, che ci attraversa come spiffero di corrente fredda, aprendo le porte di atmosfere luminose da gran soirée operistica, per poi scaraventarci nella frenesia del burlesque più spinto, figlio illegittimo e malizioso del cabaret di fine Ottocento.
Cinelli non osa in ambito sessuale o carnale, ché lo spettacolo deve essere adatto anche ai più piccoli. Ma è qui la genialità.
“Fuori dalla Norma” è uno spettacolo che riesce ad essere completamente doppio. Ed è estremamente inquietante avere accanto un bimbo che ride mentre tu, adulto, affondi le unghie nei braccioli della poltrona. Perché – grande finezza – se sesso, carne e ambiguità non vengono mostrati, si lasciano intuire come un retrogusto. Nel veder creato da zero un mondo onirico e sintetico in cui non c’è bisogno del buio e del temporale per generare inquietudine, in cui anche una palla a specchi e un vestito sgargiante possono far paura, ci sembra un po’ di rimanere intrappolati nei teatri dalle tende rosse di David Lynch o nella Wonderland di Lewis Carrol, in cui due corpi differenti per voce (canto e piano) vengono violentati dalla stessa condizione di cattività, come in vana attesa di qualcuno che arrivi a strofinare la lampada.
Se di tutto questo, nelle intenzioni di Claudio Cinelli, non ci fosse traccia, rimarrebbe comunque intatto e inequivocabile il desiderio di presentare un’opera visiva e sonora che tramuta la narrazione in suggestione, la parafrasi in sintesi, in uno strano modo la prosa in poesia, creando un nuovo linguaggio sensoriale. E allora resta il piacere di aver bevuto delle immagini e di essersi lasciati da esse condizionare. O allucinare.
FUORI DALLA NORMA – deviazioni e spaesamenti operistici
ideato e diretto da Claudio Cinelli
produzione: Compagnia Claudio Cinelli Porte Girevoli
interpreti: Bianca Barsanti (soprano), Emanuela Longo (pianoforte)
movimenti scenici e costumi: Franco Matteo Rigola
durata: 60’
applausi del pubblico: 2’ 45’’
Visto a Roma, Teatro Biblioteca Quarticciolo, il 24 febbraio 2009