Geronimo La Russa al Piccolo: l’inopportunità di una scelta

Photo: anpi.it
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Scalpore per la nomina del figlio del presidente del Senato nel CdA di via Rovello, sede di una brigata fascista ai tempi della Repubblica Sociale

Una scritta vicino a una corona d’alloro campeggia sulla facciata del Piccolo Teatro di Milano: «Qui tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 hanno subito torture e trovato la morte centinaia di combattenti della libertà prigionieri dei fascisti. Il Piccolo Teatro ha fatto di questo edificio un centro ed un simbolo della rinascita culturale e della vita democratica di Milano».

Giorgio Strehler (1921-1997), fondatore del Piccolo insieme a Paolo Grassi, ha avuto la fortuna di vedere l’inaugurazione della lapide commemorativa posta in via Rovello dall’ANPI il 10 aprile del 1995, nell’imminenza del cinquantennale della Liberazione.
La freschissima nomina di Geronimo La Russa nel Consiglio di Amministrazione del Piccolo ha destato scalpore. Primo perché Geronimo, 43 anni, avvocato, è figlio di Ignazio, presidente del Senato, già esponente di spicco del Movimento Sociale Italiano e ora di Fratelli d’Italia. Il luciferino Ignazio Benito Maria La Russa non ha mai rinnegato le proprie simpatie fasciste, e custodisce sulla scrivania, con goliardica meticolosità, medaglie degli arditi, feticci e busti di Mussolini.

«Siamo tutti eredi del Duce» sentenziava La Russa nell’ultima campagna elettorale. Recentemente la seconda carica dello Stato ha condannato le leggi razziali, ma ha ammesso di riscontrare anche «molte luci» nel fascismo. Lui che negli anni Settanta, da segretario del Fronte della Gioventù, partecipava ad azioni di guerriglia anticomunista con camerati armati di tutto punto con catene, coltelli e bombe a mano.
Errori di gioventù, si dirà. Chi di voi è senza peccato, scagli la prima Molotov. D’altra parte, le colpe dei padri non possono ricadere sui figli. Ma se Geronimo è figlio di Ignazio Benito Maria, Milano è figlia della Resistenza e delle Cinque Giornate. È figlia delle scritte “Viva Verdi” sui muri durante il Risorgimento. È figlia della stampa clandestina negli anni bui della dittatura fascista. È figlia del settimanale “Stato operaio”, diretto dal 1923 da Palmiro Togliatti. È figlia dei quotidiani “L’Avanti!” e “L’Unità”, i cui direttori furono pestati e malmenati nel 1925 mentre veniva chiuso il giornale riformista “La Giustizia”. Quello stesso anno, il direttore del “Corriere” Luigi Albertini venne defenestrato: il quotidiano di via Solferino avrebbe subito fino al ’45 pesanti censure.
Milano è figlia del “Caffè” fondato da Bauer e Parri, più volte posto sotto sequestro. È figlia del “Quarto Stato”, giornale di Carlo Rosselli e Pietro Nenni. È figlia degli scioperi antinazisti degli operai delle grandi fabbriche, dei 15 partigiani trucidati dai fascisti a Piazzale Loreto. È figlia del CNL Alta Italia e di Sandro Pertini. Milano è figlia del 25 aprile.

Come accennavamo, l’attuale sede del Piccolo, all’indomani dell’8 settembre 1943, ospitò il famigerato battaglione di polizia Ettore Muti in difesa del fascismo rinato con la Repubblica Sociale Italiana. La Muti disponeva di camere di sicurezza e celle di isolamento. Numerosissimi furono gli arresti di antifascisti, patrioti, ebrei. I reclusi, a centinaia, venivano interrogati, torturati, massacrati.

Le colpe del fascismo non ricadono su Ignazio, e le colpe di Ignazio non ricadono su Geronimo. Tanto meno ricadono su Geronimo le colpe di suo fratello Leonardo Apache, accusato qualche mese fa dello stupro di una 22enne sua ex compagna di scuola. Leonardo Apache, nei prossimi giorni, comparirà per un giro di interrogatori davanti alla procura di Milano, proprio mentre Geronimo farà ingresso nei locali di via Rovello.

Leonardo Apache è innocente fino a prova contraria. E la responsabilità penale è in ogni caso personale. Resta da comprendere l’opportunità di nominare proprio adesso Geronimo consigliere di un teatro che da sempre sposa una politica a difesa delle donne. Che agita campagne contro la violenza di genere. Che sostiene le battaglie di Amleta. Che nel prossimo febbraio ospiterà la pièce “Dentro” di Giuliana Musso, lavoro sull’occultamento della violenza contro una figlia all’interno di una famiglia ripiegata nella propria colpa.

Intendiamoci: Geronimo non deve strapparsi le vesti. Neppure gli si possono estorcere atti d’ammenda che risulterebbero manipolatori e ipocriti. E allora, per non menarla troppo, ci limitiamo a delle considerazioni d’opportunità. Pensiamo che il ministro Gennaro Sangiuliano, che ha voluto un La Russa in via Rovello, ignori la storia della Muti, e forse anche l’identità e i valori del Piccolo e dei suoi fondatori.

Ci chiediamo, inoltre, quali siano i comprovati meriti che hanno portato a questa nomina. Geronimo La Russa finora si è occupato di diritto commerciale, di immobili e holding. Di diritto sportivo e mobilità. Di metropolitana e calcio: mai di cultura.
A meno che Sangiuliano non faccia riferimento al suo ruolo di presidente dell’Aci (Automobile Club Milano). La sede dell’Aci è in corso Venezia 43, vicinissima alla casa di Marinetti situata al numero 61. E allora eccolo il filo che lega Sangiuliano, amante del Futurismo, La Russa e la cultura. Il filo è proprio Filippo Tommaso Marinetti, che nel “Manifesto” del Futurismo nel 1909, sentenziava: «Un automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia».

E allora, un benvenuto a La Russa al Piccolo. E benvenuto a quel che resta del Futurismo, che preparava la strada al fascismo inneggiando alla poesia «come un violento assalto contro le forze ignote, per indurle a prostrarsi davanti all’uomo».
E chissà: sulla scorta del Futurismo, La Russa contribuirà finalmente a svecchiare il Piccolo. Liberandolo dalla cancrena passatista e polverosa dell’arte, della letteratura e del teatro.

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2 Comments

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    1. says: Vincenzo Sardelli

      Purtroppo i Cda dei Teatri stabili in Italia sono lottizzati. Peter Stein arriva a definirli “associazioni a delinquere”, espressione che mi sembra iperbolica, ma che evidenzia una volta di più che arte e cultura nel nostro Paese non beneficiano di attenzioni particolari rispetto a una holding qualunque.
      La Russa non declinerà perché un passo indietro sarebbe un’ammissione d’inadeguatezza dal suo punto di vista immotivata.