RIGA – Alla voce “occhiali” l’onnisciente enciclopedia online recita “una montatura che si indossa davanti agli occhi, usata principalmente come strumento di sostegno alla correzione di un difetto della vista. Vengono usati per scopi terapeutici, diagnostici e sperimentali e come schermo protettivo contro l’impatto di agenti esterni, ferite o irritazione. Inoltre essi occupano un posto significativo nel mondo della moda”.
Se frequenti la scena teatrale di Riga, quando parli di “occhiali” ti riferisci a una cosa sola: scendendo lungo Gertrude Street puoi raggiungere un cortile dove sorge una ex-fabbrica; i tuoi occhi vengono rapiti da un’insegna che recita “Gertrude Street Theatre”. La lettera “G” è trasformata in un paio d’occhiali – il logo del teatro.
Difetti della vista
Gertrude Street Theatre (GST) è uno dei due, tuttora giovani, teatri indipendenti in Lettonia. E’ stato aperto nell’autunno del 2009 con il debutto di “Männersache” (“Men’s Affair” in tedesco), uno spettacolo di teatro danza prodotto dal gruppo indipendente United Intimacy. La scelta della compagnia è stata di collaborare con un’altra associazione indipendente dal nome Nomadi per trasformare il GST – originariamente un salone ricreativo per i lavoratori della fabbrica – in una vera e propria piattaforma di produzione di teatro indipendente.
Il debutto di “Men’s Affair” è stata una introduzione piuttosto programmatica del concetto di occhiali di Gertrude. L’obiettivo era quello di creare e mettere in scena spettacoli di vario genere e rappresentare le estetiche dell’arte contemporanea.
Gran parte dell’attenzione va alla produzione di performance in cui il corpo umano mantiene il ruolo principale come personificazione e portatore di un’idea – molti sono stati gli spettacoli di danza, teatro danza e teatro di figura.
Il progetto traccia la rotta interdisciplinare e internazionale che il teatro intende seguire e in cui si dichiara in grado di operare. Il suo coreografo è Branko Potočan, artista e danzatore sloveno che viene dalla compagnia Ultima Vez di Wim Vanderkeybus, e lo spettacolo d’esordio rappresenta appieno il percorso intrapreso dal GST dal 2009 fino a oggi, con la sua espansione in una seconda sala al piano superiore, e la positiva esperienza di certi progetti che hanno allargato il bacino d’utenza e di gradimento. Il progetto ha preso vita dall’entusiasmo e su questo tuttora si fonda (tutti i partecipanti del GST sono dipendenti da altre istituzioni; solo una persona gode di un contratto permanente, gli altri sono volontari) e di questo si percepisce il valore non solo negli spettacoli ma anche nelle altre attività creative.
Per esempio, la stagione 2010 ha aperto con “Complaints Choir”, un evento in cui tutti i partecipanti erano invitati a esporre le proprie lamentele. I reclami venivano trasformati in poesia, le lamentele in canzoni, eseguite poi in diversi luoghi della città durante il festival della Notte Bianca.
Al contempo sussistono però delle difficoltà derivanti dalla situazione tuttora incerta dei teatri indipendenti in Lettonia, che passano attraverso dure lotte per la crescita e l’affermazione, alle prese con percorsi artistici sperimentali che, proprio perché non finanziati, a volte non riescono a portare a termine risultati di qualità all’altezza dei progetti. Eppure, nonostante non tutte le proposte possano essere definite determinanti per la creazione di una corrente di eccellenza, ciascuno sforzo artistico rappresenta e testimonia la crescita del teatro come necessità artistica e ha spesso sul pubblico un richiamo molto più grande rispetto a quello dei teatri stabili.
Gli ideatori delle performance del GST sono per lo più giovani registi appena diplomati (o in procinto di farlo) all’Accademia della Cultura [l’unica grande struttura di formazione delle arti in Lettonia, ndt].
Tornando alla prima di “Men’s Affairs” come evento d’apertura del GST, e di conseguenza di un nuovo modo di fare teatro indipendente in Lettonia, una delle prime lezioni imparate è quanto possa essere a volte sconveniente pensare per categorie. Le candidature per i premi teatrali nazionali in Lettonia vengono annunciate in primavera. La commissione di esperti e critici ha acclamato lo spettacolo, e tuttavia lo statuto del premio prevede che possano partecipare solo “performance di teatro drammatico”. Quelle che non appartengono a questa categoria vengono escluse perché per loro non esiste una definizione. Questo non fa che marginalizzare ulteriormente la scena indipendente lettone e intimidire la nascita e lo svilupparsi di nuovi metodi di lavoro. Per contrastare questa tendenza, il lavoro dei giovani registi tende ad estremizzare questa impossibilità di categorizzazione, producendo performance e spettacoli che implicitamente hanno vita come provocazioni, si schierano contro questa ristrettezza di vedute, questi “difetti della vista”, riflettendo se sia possibile comprendere davvero la nozione di “teatro”, e interrogandosi di che cosa (e in quale forma) sia permesso parlare e di che cosa no.
Schermo protettivo contro gli agenti esterni
Quello delle pigre politiche culturali che riguardano i teatri indipendenti è un argomento centrale fin dagli anni Novanta, eppure sono pochissimi i tentativi di miglioramento della situazione. La formazione, l’esistenza e lo stato di indipendenza dei teatri in Lettonia sono tuttora complicati e ardui da definire, in confronto alla maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale e dei vicini paesi baltici.
Ad oggi non esistono palcoscenici “aperti” stabilmente sovvenzionati dallo stato. GST ricava le risorse minime necessarie alla sussistenza dall’inserimento in alcuni progetti a partecipazione privata e affittando le proprie sale.
Nel 2010 i sette teatri di repertorio lettoni hanno ricevuto sei milioni di euro di finanziamenti contro i 70.500 complessivi destinati ai teatri indipendenti. Ancora molto diffusa è la convinzione che il teatro indipendente altro non sia che un teatro di repertorio di qualità inferiore, all’interno del quale lavorano e operano coloro che non hanno il talento sufficiente per abitare i teatri statali. D’altra parte quello che manca è forse proprio un movimento potente in grado di influenzare “dal basso” le scelte da fare “in alto”. L’apertura di nuovi spazi per le performance registrata negli ultimi due anni sembra comunque essere una dimostrazione dell’esistenza di quel movimento.
Maija Pavlova, direttrice e produttrice del GST, riferisce che nel 2010 si sono tenuti al GST 85 spettacoli e 10 altri eventi, raccogliendo complessivamente 6000 spettatori. I teatri stanno insomma conquistando sempre più attenzione dal pubblico, fatto che dovrebbe far pensare che presto sarà difficile ignorare le attività e le alternative amministrative e creative offerte dal teatro indipendente.
Propositi diagnostici
Uno dei metodi essenziali nel modo di lavorare del GST è quello di stimolare il dialogo, il contatto con il mondo circostante, il pubblico e la società. L’arte è vista come una porta che si apre su uno spazio per il pensiero e pone domande piuttosto che risposte.
Lo spettacolo più significativo presentato al GST è la performance di teatro danza “Sarah Kane”, creata dal regista Mārtiņš Eihe (Nomadi). Portato in scena dal musicista Edgars Rubenis, la coreografa e danzatrice Kristīne Borodina e l’attore Aigars Apinis, lo spettacolo è ispirato agli scritti e alla vita della poetessa: un’esplosione di associazioni senza quasi una linea narrativa (e praticamente senza parole) in cui il movimento e il rombo della musica elettronica, racconta del rapporto tra l’io e l’altro che nell’io risiede, attaccandolo, distruggendolo, soffocandolo. “Sarah Kane” non è solo il primo spettacolo lettone basato sui testi della scrittrice, ma si fa portatore di un’energia che va oltre lo standard espressivo della tradizione lettone, andando a ragionare sul concetto stesso di presenza dei performer nello spazio.
La conferenza-spettacolo “Why I Love Russians” (“Perché amo i russi”) è un altro lavoro di Nomadi che riflette sulle tradizioni e sul vittimismo storico della Lettonia, usando un tono ironico che non ha mancato di suscitare scompiglio tra il pubblico. In particolare, la critica teatrale Dita Eglīte ha accusato l’autrice Krista Burāne di “superficialità e trivialità”. Eppure sono proprio questi due atteggiamenti, assunti di proposito dal narratore dello spettacolo, a offrirsi come punto di partenza per una conversazione cui si chiede al pubblico di partecipare dopo lo spettacolo. Lo scopo è infatti dichiaratamente autoironico e critica il narcisismo di certo modo di pensare, così nazionalista e sicuro di sé. Lo spettacolo è una riflessione sull’opinione che la Lettonia ha di sé, sulla maturità nazionale e individuale, ed è un invito a riconsiderare il concetto di identità attraverso una visione semplicistica, meno seriosa, più genuina.
Un proverbio lettone dice: “La parola è d’argento, ma il silenzio è d’oro”. Ogni discussione provocata sembra rappresentare una piccola vittoria nel contesto della taciturnità dei lettoni.
Dopo un anno e mezzo di attività, il carattere speciale del GST comincia a cristallizzarsi: se da un lato si tratta di un polo di incoraggiamento alla pratica della “diversità artistica”, dall’altro si offre anche come punto d’incontro. Per facilitare discussioni costruttive e proporre costruttive decisioni, tutto quello che serve a volte è uno spazio fisico e un invito a parlare. Dopotutto non ci sono quinte al GST. È un palco aperto, uno spazio aperto per un dialogo altrettanto aperto.
Questo articolo è stato pubblicato in lingua originale lettone sul quotidiano Teritorija. Traduzione a cura di Sergio Lo Gatto.