Il testo di Bryony Lavery, per la prima volta in scena in Italia, debutta allo Stabile di Torino con Filippo Dini, Mariangela Granelli e Lucia Mascino
In scena tre strutture cubiche concentriche, aperte sul lato della platea, occupano per altezza e larghezza tutto il palco del Gobetti di Torino. Le pareti sono trasparenti, plastiche, con qualche fenditura che ne squarcia in buchi più o meno grandi la regolarità, dando vita a bruciature dai contorni scuri.
I tre interpreti – Filippo Dini, Mariangela Granelli, Lucia Mascino – si muovono in questi box geometrici, calpestando un terriccio che ricopre tutto il suolo. Su un lato un grande albero. Sono costretti da Maria Spazzi, realizzatrice delle scene, a percorrere questo ambiente unico ma molteplice nel quale prendono vita le storie dei singoli che, poco a poco, si incontreranno nel plot comune.
“Frozen” di Bryony Lavery, tradotto da Monica Capuani e Massimiliano Farau, è un testo coraggioso. Quando si legge la presentazione si viene pervasi da un senso di “rifiuto” molto forte, quasi di incredulità.
Una madre perde la sua bambina, abusata e fatta a pezzi da uno stupratore seriale che viene rinchiuso in carcere. Parallelamente una psichiatra si mette in viaggio per incontrare il killer e avvalorare la sua tesi di stampo lombrosiano, secondo cui alcune caratteristiche fisiche pregresse porterebbero certi individui a compiere queste atrocità. Una trama che si addice più ad una serie televisiva, rispetto alla quale uno spettacolo teatrale rischierebbe di perdere. E invece vince. Senza mezzi termini.
“Ghiaccio” è uno spettacolo raro, con una capacità di analisi imprevista. L’incontro tra le parole della Lavery, la regia di Filippo Dini e l’interpretazione dei protagonisti crea un meccanismo perfetto in cui diventa difficile capire quale sia la parte predominante. Certamente “Frozen” è una base di partenza potente che ci porta, ancora una volta, in quel contesto inglese contemporaneo all’interno del quale i drammaturghi si prendono responsabilità assolute che non possono passare inosservate, e che si avvertono in ogni parola pronunciata in scena.
Il ritorno a scandagliare con consapevolezza e coscienza la realtà, nelle sue macchie indelebili, nella tragicità dei fatti, con l’ammirevole capacità di non spettacolarizzare niente ma, al contrario, sezionando al microscopio, dividendo per ricomporre, con la scrupolosità dello scienziato e la poesia dello scrittore.
In questa divisione troviamo separati la madre, lo stupratore e la dottoressa. Sono figure di straordinaria realtà, afflitte da un dolore insopportabile che rende la vita congelata e ridotta ad uno sterile “andare avanti”. Solo che, per due di loro, il dolore è ben celato dietro una maschera totale. Se si empatizza subito con lo strazio della mamma, interpretato da Mariangela Granelli, non è chiaro come rapportarsi con la misteriosa psichiatra (Lucia Mascino), che apre lo spettacolo arrivando dalla platea e dando vita ad un inquietante attacco di panico, in proscenio, senza pronunciare una parola.
Col procedere della trama qualcuno tra il pubblico ride per i suoi bizzarri comportamenti, altri restano straniti. E poi c’è lui, il sociopatico, l’orrendo, il colpevole. Verso cui non si può che provare odio. L’interpretazione di Dini ci restituisce una figura multiforme, che si svela poco a poco. Difficile dar vita ad un personaggio così immediatamente palese e al contempo riuscire a lasciare aperti spiragli di dubbio e umanità. Eppure Dini ci riesce con naturalezza. Ed è con altrettanta disinvoltura che testo e regia portano alla ribalta un termine inimmaginabile in questo contesto, vale a dire il perdono. Fuggendo da happy ending e facili conclusioni, è proprio con questa parola – perdono – che la performance volge al termine mentre il ghiaccio, parzialmente sciolto, lascia spazio all’essere umano che può tornare ad esistere.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Filippo Dini prima dello spettacolo, che vi lasciamo qui sotto.
Ghiaccio
di Bryony Lavery
traduzione Monica Capuani, Massimiliano Farau
con Filippo Dini, Mariangela Granelli, Lucia Mascino
regia Filippo Dini
scene Maria Spazzi
costumi Katarina Vukcevic
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
aiuto regia Carlo Orlando
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di United Agents LLP
Spettacolo consigliato ad un pubblico adulto
durata: 2h
applausi del pubblico: 4′ 05”
Visto a Torino, Teatro Gobetti, il 6 aprile 2022
Prima nazionale