Gianluca Falaschi e Fattoria Vittadini per L’Angelica di Porpora

L'Angelica (photo: Clarissa Lapolla)
L'Angelica (photo: Clarissa Lapolla)

Torniamo a Martina Franca, al Festival della Valle d’Itria, per raccontarvi oggi “L’Angelica” di Nicola Porpora, che è una serenata, composizione che nel ‘700 si poneva come via di mezzo tra una cantata e un’opera, e che di solito veniva rappresentata in un teatro privato e all’esterno, su un palco di modeste dimensioni.
La Nostra fu eseguita per la prima volta il 4 settembre 1720, e replicata a distanza di pochi giorni, il 7 settembre, a Napoli nel palazzo di Antonio Carmine Caracciolo, principe della Torella, per festeggiare il compleanno di Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel, moglie dell’imperatore Carlo VI.
Fu composta nientemeno che su un libretto, il primo, del giovane Pietro Metastasio.

La trama vive sul rapporto tra sei personaggi, di cui si esprimono i contrastanti sentimenti, carichi di allusioni sensuali, attraverso arie col da capo, che ne approfondiscono le psicologie: due coppie, gli ariosteschi Angelica e Medoro, i pastori Tirsi e Licori, un confidente, Titiro, che elargisce consigli di comportamento (assomigliando un poco al Don Alfonso mozartiano) e infine un antagonista, Orlando, ovviamente pazzo perché Angelica non gli corrisponde.

La serenata di Porpora, che dobbiamo dire nella prima parte ci entusiasma poco o nulla, si riscatta meravigliosamente nella mezz’ora finale, prima con la stupenda aria melanconica eseguita da Medoro – senza abbellimenti ma soffusa di un interiore profondo tormento -, con l’accompagnamento di un violoncello solista e del basso continuo (“Bella diva all’ombre amica…”), qui cantata magnificamente da Paola Valentini Molinari, seguita poi da un’altra aria di Angelica, incastonata da difficili virtuosismi, affrontata da Ekaterina Bakanova con autorevolezza interpretativa: “Io dico all’antro addio”. Infine ecco la meravigliosa Teresa Iervorino, di rosso vestita che, interpretando Orlando, conclude fremente l’opera (“Aurette leggere che intorno volate, tacete fermate, che torna il mio ben”).
Molto bene anche Gaia Petrone (Licori) e Barbara Massaro come Tirsi, il cui ruolo, in origine, era affrontato dal famoso Carlo Boschi, in arte Farinelli; mentre ci convince poco nella parte di Titiro Sergio Foresti.

Di routine ci è sembrata la direzione di Federico Maria Sardelli, sempre con l’orchestra barocca La Lira d’Orfeo.

Difficile è il compito di rendere teatrale una siffatta trama e una siffatta composizione: Gianluca Falaschi, che ben conosciamo come uno dei nostri più fantasiosi ed eccellenti costumisti teatrali, non solo d’opera, in quest’occasione debutta alla regia, e ci prova imbastendo, invece di un “giardino di delizie presso Parigi”, una grande e lunga tavolata, dove i sei protagonisti, di volta in volta, esprimono i loro sentimenti contrastanti.
I cantanti vengono accompagnati, per dar maggior peso drammaturgico ad un’opera di per sé poco vivace, da un via vai di serventi (i mimi della compagnia milanese di danza Fattoria Vittadini, guidati dai movimenti coreografici di Mattia Agatiello), seducentemente vestiti, che di volta in volta, dietro pannelli trasparenti, riverberano visioni erotiche, immaginando anche mondi popolati da meduse e cavalli.
Il tavolo via via si cosparge di un bellissimo grande vaso di fiori spumeggianti e di torte, tra cui l’ultima, sormontata da un cuore sanguinante: ci si immagina quello del povero Orlando.

Tra le due opere viste a Martina Franca (la “Griselda” di Scarlatti già recensita) abbiamo potuto godere anche del concerto di canto del soprano americano Lisette Oropesa, nuova star del mondo belcantistico internazionale, che abbiamo amato soprattutto nelle arie francesi come “Aieu notre petite table” dalla Manon di Massenet e della trascinante “Je veux vivre” dal “Roméo et Juliette” di Gounod, ma soprattutto nell’incantevole resa di “Eccomi in lieta vesta” del belliniano i Capuleti e i Montecchi.
Grande emozione, per noi, avere dato la mano e ceduto l’ascensore al novantunenne Richard Bonynge, vincitore del Premio Celletti, grandissimo direttore d’orchestra e compagno d’arte e di vita della stupenda Joan Sutherland.

Dobbiamo infine ringraziare Alberto Triola che ha scelto di lasciare, con questa edizione, la direzione artistica del festival per concentrarsi sul ruolo di sovrintendente della Toscanini di Parma; il suo successore sarà il tedesco Sebastian Schwarz. «Lascio il Festival della Valle d’Itria dopo dodici intensissimi e splendidi anni, di cui sette a fianco di Fabio Luisi. Vorrei ricordare le 51 produzioni mandate in scena, di cui 7 di opere novecentesche e 4 di autori contemporanei in prima rappresentazione assoluta. Il repertorio esplorato – se di repertorio si può parlare! – va dal Seicento ad oggi e comprende 40 diversi compositori, tra i quali tutti i principali della scuola napoletana…».

L’Angelica
Musica di Nicola Porpora
Serenata a sei voci e strumenti su testo di Pietro Metastasio

Edizione a cura di Gaetano Pitarresi (Mnemes Alfieri e Ranieri, Palermo 2002)

Direttore Federico Maria Sardelli
Regia, scene e costumi Gianluca Falaschi
Movimenti coreografici Mattia Agatiello
Luci Pasquale Mari

Orlando Teresa Iervolino
Medoro Paola Valentina Molinari
Angelica Ekaterina Bakanova
Licori Gaia Petrone
Titiro Sergio Foresti
Tirsi Barbara Massaro

La Lira di Orfeo

Fattoria Vittadini
Danilo Calabrese, Riccardo Esposito, Samuel Moretti, Valentina Squarzoni
Coproduzione con lo Staatstheater Mainz

Visto a Martina Franca, Palazzo Ducale, il 3 agosto 2021

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