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“E’ meglio avere un pensiero senza la luce, che la luce senza un pensiero”. Gianni Staropoli ad Anghiari Dance Hub

Gianni Staropoli (ph: Andrea Macchia)

Gianni Staropoli (ph: Andrea Macchia)

Il light designer tra i docenti dei seminari organizzati per i giovani coreografi

Anghiari Dance Hub 2023 prosegue con i suoi seminari formativi, volti ad approfondire da un lato la pratica artistica in tutti i suoi aspetti, dall’altro la presentazione, la comunicazione e la distribuzione degli spettacoli. Un lavoro totalmente immersivo e di ampio respiro per i giovani coreografi selezionati, che rende il progetto simile ad una vera e propria accademia.
Ad oggi si sono già svolti tre seminari: “Il lavoro dell’interprete” con Marigia Maggipinto, “Relazione con la musica” con Matteo Fargioni e “Drammaturgia della danza con Maja Hriesik.

Per un approfondimento sul lavoro in corso d’opera abbiamo parlato con Elena Lamberti, che oltre ad essere responsabile della comunicazione e figura-chiave del progetto, ha condotto uno dei seminari sulla comunicazione e la distribuzione. Durante due giornate appena concluse (il 24 e 25 ottobre), Elena ha affrontato con i ragazzi un primo approccio alla distribuzione, per poi sviluppare nel secondo giorno uno studio personalizzato dei materiali con ciascuno dei quattro coreografi, accompagnato da consigli specifici sui festival da seguire o sui curatori da invitare alla presentazione finale dei loro lavori, che si terrà il 24 e 25 novembre. Un momento importante per i giovani artisti, che sarà accompagnato da un successivo incontro, sia nella sera stessa che al mattino dopo, con diversi curatori di danza invitati da ADH, alcuni dei quali seguono l’evento ormai da anni, come Attilio Nicoli Cristiani e Alessandra De Santis del Teatro delle Moire, Angela Fumarola, Alessandro Pontremoli, Rossella Battisti, Natalia Casorati, Marco Valerio Amico, per citarne alcuni.
Una vera opportunità per i giovani coreografi, per ricevere consigli e suggerimenti da esperti del settore, prima del completamento dei loro lavori, nata – come ci spiega Lamberti – per preparare maggiormente i ragazzi al momento del confronto con il pubblico.

In alcuni casi il supporto dei curatori si è anche tradotto in offerte di residenze, in cui i coreografi hanno avuto la possibilità di mettere a punto i progetti. Un’occasione, per i giovani, anche per entrare nel vivo del reticolo delle relazioni che formano il circuito danza. C’è anche un incontro importante in cantiere, con Andrea Merendelli, che sarà di sostegno ai ragazzi per la presentazione scritta dei lavori. Merendelli, infatti, non è soltanto il direttore artistico del Teatro di Anghiari, ma insegna anche storytelling. Un vero e proprio tutoraggio quindi, che rafforza la parte delle docenze per affiancare coreografi che possono essere in alcuni casi veramente al primo approccio al lavoro, non solo artistico, ma anche di gestione della loro piccola compagnia. Come sottolinea Elena Lamberti, la ricchezza del progetto è data anche dal fatto che non si tratta di singoli coreografi che svolgono un percorso da soli, ma di sviluppare progetti con una funzione coreografica in cui sono coinvolti almeno un altro danzatore o danzatrice, spesso più di uno.

Quest’anno sono stati introdotti due webinar organizzati da Movimento Danza su “Danza e drammaturgia”, a partecipazione gratuita e rivolta a tutti, per un massimo di 50 partecipanti. Il primo, “Curatela e drammaturgia”, verrà condotto il 31 ottobre da Piersandra Di Matteo, direttrice artistica di Short Theatre, oltre che studiosa di arti performative. Il secondo, intitolato “Coreografie e drammaturgie della realtà”, si terrà il 9 novembre con Alessandro Pontremoli, docente di Storia della Danza e di Teatro educativo e sociale all’università di Torino.

Abbiamo voluto approfondire qualche tema con uno dei docenti dei seminari, Gianni Staropoli, light designer con alle spalle un numero importante di collaborazioni con diversi esponenti del panorama teatrale italiano. Una presenza ormai consolidata ad Anghiari Dance Hub, che terrà l’ultimo seminario, dal 16 al 21 novembre, sulla relazione con la luce.
Benché elemento essenziale del linguaggio teatrale, non si parla spesso del disegno luci, pensato a volte come qualcosa di accessorio allo spettacolo, mentre è in realtà una colonna portante di ogni lavoro, con una propria vita creativa.

Come collabori con gli altri membri della compagnia, come coreografi, scenografi, per assicurarti che l’illuminazione supporti la visione complessiva dello spettacolo?
Dopo tanti anni, la questione della relazione con gli autori e le persone che fanno parte di un progetto è diventata un punto importante per me, per vari motivi. Intanto vorresti trovarti sempre in un bel paesaggio, in un bel percorso e con grande condivisione, per cui di solito all’inizio, per un periodo che chiamo “il tempo della soglia”, mi relaziono con grande timore agli altri, soprattutto quando fai ingresso in un processo creativo che magari è già partito da un po’. In quel momento è come se fossi un’antenna che cerca di captare tutto, dal testo alla drammaturgia, ma soprattutto le persone, che sono per me il primo approdo ad un possibile dialogo. Per questo amo il confronto con gli altri membri di una compagnia e tutto quello che scaturisce da questo incontro.

Come imposti il tuo lavoro con i ragazzi ad Anghiari, che immagino siano abbastanza nuovi anche all’approccio tecnico delle luci, oltre che drammaturgico.
Rispetto al mio percorso iniziale, oggi amo molto tenere questi laboratori, che sono un momento di studio, di ricerca, di approfondimento e anche di trasmissione. In genere non amo la parola insegnamento perché la trasmissione (dell’esperienza) è una definizione molto più potente. Anche all’Accademia Silvio D’amico, dove insegno, sento sempre l’esigenza di esprimere bene la mia esperienza attraverso una trasmissione autentica di come la vivo, dallo spazio alla luce, che sono poi i tempi centrali di questo ambito. Ad Anghiari io arrivo dopo un loro lungo lavoro, anche di ricerca, partito da una fase embrionale, quando si apprestano a presentare le loro creazioni ad una platea composta soprattutto da operatori. Capita anche che i ragazzi non abbiano mai avuto l’opportunità di lavorare con un light designer, anche se hanno già presentato qualche lavoro. Per cui la prima cosa che facciamo è capire come dialogare, per incanalare le loro idee e bilanciare le questioni che riguardano la luce e lo spazio, la drammaturgia della luce, ma anche la fase concreta in previsione della presentazione dei lavori.

Qual è la fonte di ispirazione per un light designer quando crea un disegno luci?
Credo sia un misto di tante cose, che conosciamo ma anche che non conosciamo. Qualcosa di istintivo, sicuramente, che arriva dopo il nutrimento, e che ti fa pensare a quella determinata luce in quel preciso momento, o a un’idea di insieme dello spettacolo, ma nasce sicuramente da un livello interiore, dove interno ed esterno si incontrano poi, perché l’idea va tradotta, adattata, pensata.

Con i ragazzi affronti l’aspetto del pubblico, ossia in che modo l’illuminazione influenzi l’esperienza degli spettatori e la narrativa di uno spettacolo?
Sì, sicuramente. È fondamentale, oggi forse più di ieri, avere sempre presente il rapporto con il pubblico. Quando affronto il percorso di un nuovo progetto artistico, per me la prima luce è quella dell’ingresso degli spettatori in sala, che sono una parte fortemente integrante dell’opera. Per cui sicuramente ne parliamo con i ragazzi, perché cerco di portarli anche nel mio immaginario e nella mia visione. È anche un aspetto delicato, perché a volte i ragazzi sono inesperti, non hanno nessuna esperienza di costruzione della luce; quindi diventa essenziale usare la giusta misura. Nell’ottica della drammaturgia della luce può rendersi necessario tenere gli spettatori in luce tutto il tempo, o tenerli in un buio importante, o accendere la sala in un dato momento perché il pubblico viene chiamato in causa. È quindi un punto importante perché gli spettatori sono la linfa di tutto.

Affrontate anche aspetti tecnici relativi al campo dell’illuminazione teatrale o è un aspetto più secondario?
È sicuramente un aspetto secondario, ma non per importanza. È un argomento presente ma parallelo. Ci sono delle questioni tecniche che ovviamente vanno affrontate per l’imminente presentazione dei loro lavori, e quindi va deciso se utilizzare un corpo illuminante piuttosto che un altro; però, allo stesso tempo, cerchiamo anche di approfondire, per quanto possibile. Anche se il piatto della bilancia va tenuto sempre più sul pensiero che sull’illuminotecnica, c’è comunque un bilanciamento, perché un determinato pensiero ti porta a trovare poi il corpo illuminante giusto.

Spesso subentrano anche sfide tecniche che riguardano l’illuminotecnica: restrizioni di budget o limiti dello spazio…
Sì, è un tema importante questo, perché spesso ci ritroviamo a dover realizzare lavori con zero budget. Sono cresciuto con il maestro Marcello Sambati al Teatro Furio Camillo, un teatrino da cento posti dove avevamo pochissimi mezzi, ma non mi sono mai sentito limitato nel lavoro. C’erano limiti molto forti, ma siamo sempre riusciti a sormontarli trovando la concretezza dietro a un pensiero. A volte, anche se non hai la presenza di un corpo illuminante, riesci a vederlo con l’immaginazione. In sala prove non c’è niente, ma comunque riesci a vedere e a immaginare tante cose. Quindi, se si coltiva un pensiero, questi limiti vengono poi placati, o gestiti, e riesci anche a ridurre i corpi illuminanti. Ai ragazzi dico sempre: “E’ meglio avere un pensiero senza la luce che la luce senza un pensiero”.

Domanda di prassi: quali consigli daresti, quindi, a dei giovani coreografi che si accingono a creare la propria compagnia?
Questa domanda ci riporta alla riflessione iniziale e chiude un cerchio, perché il mio consiglio è quello di concentrarsi sulle persone e sulle relazioni per riuscire a creare un paesaggio umano, che è essenziale per un processo di crescita. E nello specifico dell’illuminazione consiglierei di pensare alla luce fin dall’inizio, non come ad un contorno o un accessorio, ma come un elemento fondante.
Ogni elemento, che sia lo spazio, gli interpreti, la luce, è in fondo una presenza in una creazione…
È senza dubbio una presenza ampia, anche perché ci sono persone dietro ad ogni elemento.

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