La prima impressione, uscendo dal Teatro Metastasio dopo aver assistito alla prima de “Il giardino dei ciliegi” a firma del direttore artistico Paolo Magelli, è che il teatro pratese da anni non sfornava produzioni di questo livello.
Magelli è regista di talento, con un curriculum vastissimo costruito in anni di esperienze in Europa. Qui da noi non ha mai vinto un Ubu, e forse non ha mai avuto neppure una nomination. È decisamente ‘fuori dai giri’ dell’Italietta teatrale; molti a Roma o Milano neanche lo conoscono. E forse per questo (oltre che per militanza geografica) mi sono subito avvicinato al suo lavoro.
Dopo essersi presentato la scorsa primavera al pubblico della città toscana con un tumultuoso pezzo dell’autrice serba Biljana Srbljanovic messo in scena al Fabbricone, stavolta sfida il teatro all’italiana dedicato al celebre librettista presentando l’ultimo testo scritto da Anton Checov pochi mesi prima di morire.
“Il giardino dei ciliegi” di Magelli parla di noi. Da subito la scena è pervasa da quel senso di angoscia proprio del declino dell’aristocrazia e della borghesia russa di fine Ottocento ma, ancor più, della nostra crisi culturale ed economica. Gente che urla, che si rincorre nello spazio nudo del teatro, dove gli echi invadono l’aria e i tiranti calati danno un perenne senso di precarietà.
Gente che scappa passando dalla grande apertura in fondo alla scena per lo scarico dei materiali in teatro.
Via gli orpelli da teatro delle minuzie alla Stanislavskij, il Cechov del duemila vive di parole e gesti.
Il testo, nella sferzante traduzione che Magelli stesso ha messo nelle mani della dramaturg Zeljka Udovicic, ci offre gli elementi per paragonare la vicenda cechoviana della vendita della proprietà col giardino di ciliegi alle micro e macro tragedie che ci affliggono, dallo spread che sale alle violenze familiari, dalla corruzione della politica alla maleducazione per strada. Dialoghi moderni che attirano l’attenzione senza perdere il fascino dell’originale russo.
Ma nella visione del regista il testo non sempre è sufficiente, ed ecco quindi apparire scene con movimenti a volte “artistici” (come la prima scena del secondo atto, con le capriole delle fanciulle, che fanno tornare alla mente quella signora di Wuppertal, città dove Magelli diresse negli anni Novanta il suo secondo Giardino), altre volte comici (scene dove gli attori devono anche trasportarsi a vicenda, facendo sorridere il pubblico).
Un teatro di testo ma anche fisico, per uno spettacolo dove gli amori, il sesso e le amicizie sono malati, insani, ridotti a corpi barcollanti che si spogliano e si picchiano. Questi personaggi isterici che riempiono lo spazio, in un disegno luci suggestivo, sono gli attori delle compagnie del Metastasio e del Teatro Stabile della Sardegna: i coproduttori dello spettacolo, che hanno dato vita a un’interessante fusione produttiva.
Non li citeremo tutti per motivi di spazio (sono 12), segnalando solo Valentina Banci (Ljubov) per la capacità di mutare diventando First Lady di ferro ma anche fragile bambina nuda. Elegantissima.
Mauro Malinverno è Leonid; a lui va il compito di sollevare il lato comico del testo, attento a essere grottesco ma non troppo. Daniel Dwerryhouse, che invade la scena con la sua risata sarcastica, è Simeonov, personaggio ben delineato tra Cechov e un pizzico di Brecht. Sara Zanobbio e Elisa Cecilia Langone interpretano le due figlie di Ljubov: stili diversi ma una freschezza attoriale supportata da una consapevolezza del corpo e una non scontata elasticità. Valeria Cocco è Sarlotta, governante metafisica che incarna il lato espressionista del teatro di Magelli, donando mobilità a tutta la scena.
Confermiamo allora quanto ci era parso fin dal debutto del nuovo corso di Magelli.
Tira aria nuova a Prato, grazie anche ad uno spettacolo che resterà in scena al Metastasio fino al 4 dicembre e ha già fissato repliche a Cagliari, Bologna, Venezia, Udine e Bolzano. Sperando, nella prossima stagione, di fare un significativo salto verso l’Europa.
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Pavlovič Čechov
traduzione: Paolo Magelli
drammaturgia: Željka Udovičić
scene: Lorenzo Banci
progetto luci: Roberto Innocenti
costumi: Leo Kulaš
musiche: Arturo Annecchino
con: Valentina Banci, Francesco Borchi, Valeria Cocco, Daniel Dwerryhouse, Corrado Giannetti, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni, Paolo Meloni, Silvia Piovan, Luigi Tontoranelli, Sara Zanobbio
regia: Paolo Magelli
durata: 2h 25′ + intervallo
applausi del pubblico: 3′ 35”
Visto a Prato, Teatro Metastasio, il 23 novembre 2011
Prima nazionale
Anelo a una nuova polisportiva che di Cecov traduca in scena anche la ”???? ? ????????”, nuda lei e nudo lui, per delegare all’occhio ciò che non perviene più all’orecchio, i monologhi esplicativi sopraffatti dal frastuono perché il teatro non abbisogna più della parola dopo che il verbo è stato nuovamente messo in croce. Perdonate, ma a ottant’anni il torto è tutto nostro:
“wir zu Jungen manchmal für das Alte
und zu alt für das, was niemals war.“
Rilke, Sonetti a Orfeo, II,23