Enzo Vetrano e Stefano Randisi sono stati protagonisti di una lunga e impegnata permanenza a Roma, con tre spettacoli al Teatro Valle, una serata a loro dedicata da Radio Rai 3 per la trasmissione “Il teatro in diretta” e la presentazione del libro “Diablogues. Il teatro di Enzo Vetrano e Stefano Randisi” di Mattia Visani, edito da Ubulibri, presentato proprio al Valle lunedì scorso, 28 marzo.
Poi, ancora, tre incontri con le università romane, tutto sotto l’egida di Luigi Pirandello, alla cui opera, da molti anni ormai, i due artisti siciliani lavorano con grande intelligenza e meastrìa.
Cominciamo dalla serata radiofonica, piacevolmente condotta da Antonio Audino dalla Sala A di via Asiago. I due attori/registi raccontano il loro approccio ai testi pirandelliani, tornano indietro nel tempo, quando erano attori degli spettacoli di Leo de Berardinis; ricordano la fondazione di diverse compagnie, fino all’ultima e attuale Diablogues, passando attraverso le messinscene dei testi di Franco Scaldati, per arrivare infine alla tournée di oggi, in cui si producono in ben tre spettacoli sempre tratti dall’opera di Pirandello. E ne offrono affabilmente degli estratti al pubblico: montaggi di monologhi e dialoghi da “Il berretto a sonagli” e da “I giganti della montagna”, passi dalla corrispondenza di Pirandello, pensieri, lettere, appunti legati alla quotidianità del grande drammaturgo, incroci con i commenti di Camilleri, e poi ancora stralci di novelle e racconti.
Il risultato è straordinario. E ce ne accorgiamo durante l’interpretazione di un passo da “La giara”, in cui Vetrano si impegna in un delicatissimo gioco di toni vocali per creare l’illusione di essere Zì’Dima intrappolato nel vaso che sta ricostruendo.
Una serata di intensi racconti dunque, in cui la vena umoristica e la straordinaria forza drammatica del testo sono impreziosite dalle inconfondibili sonorità del dialetto palermitano: un vero e proprio viaggio attraverso i colori della terra siciliana, suggerito dalle parole del grande drammaturgo che invitava i suoi attori ad agire “per mosse d’anima”, cioè ad ‘essere’ sul palcoscenico.
E proprio “Per mosse d’anima” è il titolo di uno dei tre spettacoli in scena al Valle, accanto al dittico “Fantasmi“, che unisce gli atti unici “L’uomo dal fiore in bocca” e “Sgombero” di Pirandello a frammenti di “Totò e Vicè” di Franco Scaldati.
Ma è con la messinscena de “I Giganti della montagna” che Vetrano/Randisi interpretano in maniera assoluta il pensiero di Pirandello. Dolorosamente incompiuta ma per questo ancor più monumentale, secondo le parole stesse di Bontempelli, l’ultima scrittura drammaturgica del grande maestro sembra essere il racconto che conclude il vasto peregrinare dei “Sei personaggi”.
In un’atmosfera che rimanda a un tempo e a un luogo indeterminati, la squinternata Compagnia della Contessa gira il mondo tentando di portare in scena “La favola del figlio cambiato” (titolo di un’altra opera di Pirandello), testo di un poeta morto suicida per amore di Ilse, la contessa prima attrice della compagnia.
Arrivano alle falde di una montagna presso la villa detta “La Scalogna”, dove abita un gruppo di eccentrici personaggi isolati dalla società, gli Scalognati, guidati da una sorta di stregone, Cotrone: qui vivono in una dimensione onirica, nutrendosi di apparizioni e di amplificazioni della fantasia. Cotrone propone agli attori di restare per sempre con loro in quella villa magica, unico luogo dove la poesia può vivere e generare vita sotto forma di apparizioni; ma Ilse rifiuta, accettando il martirio che l’aspetta nel mondo, in mezzo agli uomini, dove la materia poetica verrà calpestata.
Testo profondamente intessuto di lirismo magico, “I giganti della montagna” porta fin da quel sottotitolo ermetico, “mito”, la cifra dominante di tutta l’opera, incentrata sul tema del conflitto fra arte e società moderna. A distanza di tanti anni (il testo è del 1936), l’incorruttibile forza della congrega degli Scalognati ci appare tutta nel suo volontario atto di clausura, nella sua scelta, fortemente politica, di ritirarsi fra i miracoli. E la villa è una scatola magica dove sogno e realtà si danno nel medesimo istante, dove basta immaginare e subito le immagini si fanno vive da sé, per virtù spontanea della loro stessa vita, è il libero avvento d’ogni nascita necessaria.
“Se lei, Contessa, vede ancora la vita entro i limiti del naturale e del possibile, l’avverto che lei qua non comprenderà mai nulla. Noi siamo fuori da questi limiti” chiosa Cotrone.
La fine, mai scritta, ma rivelata in punto di morte da Pirandello al figlio Stefano, prevedeva la morte di Ilse mentre si esibisce davanti al pubblico dei giganti della montagna, metafora della società moderna, bestiale e dura di mente. L’ultima immagine avrebbe dovuto essere un magnifico ulivo saraceno, col quale Pirandello, in preda forse anch’egli alle allucinazioni, pensava di aver “risolto tutto”, di aver condensato la sua parabola in un potente simbolo di una natura ancestrale.
Sul palco del Valle vediamo descritto tutto ciò, come l’avveramento di una profezia. In una scena essenziale, assistiamo allo sdoppiamento di Ilse, interpretata da due attrici gemelle, Maria ed Ester Cucinotti, che riescono a rendere il conflitto interiore della Contessa, colta ogni volta fra ansie diverse.
Enzo Vetrano è un bellissimo, esile Cotrone dinoccolato, rapito dai suoi stessi precetti, dalle sue formule e convinzioni. Bravo Randisi nella parte del Conte disilluso e paranoico. Il testo, recitato integralmente, è in piena armonia con la scena, e in alcuni passaggi, come nelle lunghe tirate di Cotrone, abbiamo la sensazione che la recitazione rischiari ancor di più le parole di Pirandello. E in effetti un obiettivo dichiarato della coppia Vetrano/Randisi è proprio quello di scalzare l’opera pirandelliana dal piedistallo dove il tempo, gli studi, i critici e le università lo hanno posto per recuperarne i lati più umani.
Sul finire del terzo atto sentiamo arrivare da lontano un orda di barbari a cavallo, sono i giganti che scendono a valle (al Valle?) per festeggiare sfrenatamente a un banchetto di nozze; votati alla materialità essi calpestano qualunque valore artistico, ridono del teatro e lapidano la povera Contessa.
Lo spettacolo si chiude con la bella immagine di Ilse che tiene in braccio se stessa morta, in una composizione fisica che ricorda molto da vicino l’immagine dell’ulivo saraceno vagheggiato dal maestro. Ilse rappresenta il teatro per Vetrano e Randisi. Un teatro morente che sostiene da sé la propria carcassa, che si trascina ostinatamente in mezzo alla folla furiosa per ribadire, ancora una volta, la sua importanza.
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
di Luigi Pirandello
con:
Ester Cucinotti e Maria Cucinotti Ilse, detta ancora La Contessa
Stefano Randisi il Conte, suo marito
Marika Pugliatti Diamante, la seconda Donna
Giovanni Moschella Cromo, il Caratterista
Giuliano Brunazzi Spizzi, l’Attor Giovane
Luigi Tabita Battaglia, generico-donna
Enzo Vetrano Cotrone, detto il Mago
Antonio Lo Presti Duccio Doccia e il nano Quaquèo
Margherita Smedile La Sgricia
Eleonora Giua Mara-Mara e Maria Maddalena
Paolo Baietta Milordino
scene: Marc’Antonio Brandolini
costumi: Mela Dell’Erba
suono: Alessandro Saviozzi
luci: Maurizio Viani
regia: Enzo Vetrano e Stefano Randisi
produzione: Diablogues,Teatro Stabile di Sardegna, Teatro de Gli Incamminati, Teatro Carcano
in collaborazione con Teatro Comunale di Imola
durata: 2h
applausi del pubblico: 3′ 50”
Visto a Roma, Teatro Valle, il 22 marzo 2011