«L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare». Il celebre aforisma di George Bernard Shaw calza a pennello per Gigio Brunello, che a febbraio è tornato a Milano per la nona edizione di IF Festival Internazionale Teatro di Immagine e Figura.
Regna un’atmosfera fiabesca delicatissima nell’arte di questo maestro burattinaio veneto, sulla breccia dal lontano 1978. Il suo teatro ha il profumo dei dolci fatti in casa con gli ingredienti di una volta, amalgamati da mani sapienti e cotti nel forno a legna. La sua narrazione poetica con oggetti, ricca di dettagli curiosi e colori tenui, immerge le scene in una drammaturgia onirica. È un artigianato di burattini e statuine, riflusso di una passione che unisce teatro di figura e commedia dell’arte, con filigrana che parte da Arlecchino e Pantalone e arriva ai nostri giorni, passando per Goldoni e Collodi.
Al Teatro Verdi, Brunello ha proposto le sue creazioni all’interno di una trilogia sulla città di Mestre, realizzata con Gyula Molnar. Pochi oggetti scenici, tanta immaginazione. Prendono vita scorci di varie epoche del più popoloso quartiere di Venezia, le sue trasformazioni dal Risorgimento all’industrializzazione, fino all’attuale età postindustriale.
“Teatro sopra la città” è una trilogia per sporcarsi le mani. Storie incentrate sul mondo operaio, sul lavoro pratico, sul sapere analogico, antecedente e opposto a quello digitale contemporaneo. Perché «il valore di una cosa – dice Brunello – è proporzionale alla sua capacità di essere smontata».
Se “Teste calde” rievoca le vicende della gloriosa Sortita di Forte Marghera del 1848, quando i veneziani si liberarono per un tempo effimero del giogo austriaco, “Vite senza fine” e “Lumi dall’alto” sono i piccoli capolavori di queste “tre serate uguali e distinte”.
“Vite senza fine. Storie operaie del Novecento” è un intreccio di carrucole, leve, ruote azionate dall’acqua. La scena (costruita con Lorenzo Brutti) è una tavolata lungo un canale: case grezze, una chiesa, un filare di pioppi. Brunello, attore-spettatore dentro lo spettacolo, interagisce con una folla paesana fortemente caratterizzata. Ci sono lo studente svogliato, il turnista, il meccanico. C’è il disabile con la moglie infermiera, che un poco lo accudisce e un poco lo tradisce. Poi il maresciallo, l’elettricista, il prete, l’ingegnere. Vicende ordinarie, che creano un mosaico sornione.
“Lumi dall’alto. Corse clandestine in città” è una piccola epopea della comunità albanese in Veneto. Una storia di povertà, di fughe in gommone sopra il mare insidioso, verso la speranza e l’amore. Ginko e Kira, Romeo e Giulietta in miniatura, il loro matrimonio contrastato. Un cugino canadese a fare il terzo incomodo, così ingombrante da sembrare Gulliver nell’isola dei Lillipuziani. Ma questa – tratta da una storia vera, verissima – è una fiaba che plana verso il lieto fine, con tanto di fate magnanime e aiutanti assennati.
Figure molteplici si muovono fra cielo e terra. Galleggiano dentro spazi aperti, illuminati o confusi nella penombra. Brunello stabilisce con le sue creature una relazione empatica: le prende, le sposta, le fa volare come i personaggi di Chagall, ci parla con la sua voce da cantastorie. Si tratta di statuette poco rifinite, pupazzi piuttosto piccoli, definiti da particolari amplificati in modo grottesco, un ciuffo sulla testa, un naso smisurato, un sedere sporgente. I lineamenti del viso sono imprecisati.
Lo spettatore vede poco, e allora compensa con la fantasia. Prova per i protagonisti la stessa simpatia dell’autore che li ha creati, che campeggia sulla scena in carne ed ossa, come un bimbo gigante.
In questo realismo magico di piccole virtù e piccolissimi vizi, gli eventi narrati, pur collocati in un preciso contesto storico, sembrano travalicare lo spazio-tempo e si proiettano in una dimensione vaga. Brunello sembra ispirarsi alla tradizione del romanzo, fra intrighi, equivoci, colpi di scena. Con l’immancabile happy end su questo affresco di varia umanità. E i personaggi, sospesi nell’aria, a tener vive le nostre emozioni.
VITE SENZA FINE
Storie operaie del Novecento
Di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello – Sculture di Gigio Brunello
Scenofonia di Lorenzo Brutti
Musiche originali di Gigio Brunello eseguite da David Boato (tromba), Rosa Brunello (contrabbasso) e Marco Ponchiroli (pianoforte)
durata: 1h
applausi del pubblico: 1’ 30″
Visto a Milano, Teatro Verdi, il 18 febbraio 2016
LUMI DALL’ALTO
Corse clandestine in città
di Gigio Brunello e Gyula Molnar
In scena Gigio Brunello -Sculture di Gigio Brunello
dipinti di Lanfranco Lanza – Musiche di Rosa Brunello eseguite da Rosa Brunello Quintet- Scenofonia di Lorenzo Brutti
durata: 55’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Teatro Verdi, il 20 febbraio 2016