Giornata mondiale della danza. Riflessioni su un ritorno all’origine

Bimbe alla sbarra

Bimbe alla sbarraAnche quest’anno oggi, 29 aprile, si festeggia la giornata mondiale della danza. La ricorrenza venne istituita nel 1982 dal Consiglio Internazionale della Danza (Cid), nato nel 1973 nell’ambito dell’Unesco come organizzazione ufficiale per tutte le forme di danza in tutti i paesi del mondo.

Il messaggio ufficiale diffuso quest’anno dal suo presidente, Alkis Raftis, vuole ricordare come la danza sia stata un elemento sempre presente nella vita sociale delle persone, e come sempre abbia trovato i suoi spazi nei luoghi della socialità: “radure, piazze, sagrati o all’interno di aie, fino ad arrivare al giorno d’oggi in sale da ballo, club, discoteche”.
Nasce spontaneo quindi volgere il pensiero a quella forma di danza contemporanea che ha preso il nome di danza urbana, non tanto come definizione di genere (comprende infatti al suo interno tutte quelle esperienze che integrano il movimento con lo spazio pubblico) quanto come vero e proprio luogo di sperimentazione del corpo in un contesto urbano. Ed è su questo aspetto, fra le tante tematiche che la danza urbana contiene, che ci soffermeremo.

Le nuove tendenze teatrali vanno in una direzione di negazione del corpo. Sembra non essere più “di moda” una ricerca che vada veramente al corporeo, nel senso di indagare il gesto e il suo codice. Il corpo odierno è un corpo che “non danza”, e che spesso nemmeno si offre allo sguardo; seppur presente, viene sovente messo al servizio di macchinerie teatrali che trovano le loro possibilità evocative soprattutto in usi particolari di luci, suoni e scenografie. In altri casi è asservito a una intellettualizzazione del progetto totalizzante: il lavoro sul corpo viene negato in favore di una concettualità che da sola sembra giustificare il fare.

L’uscita dal luogo protetto del teatro, e quindi la decisione di sorpassare la linea di demarcazione tra chi fa e chi guarda, permette o forse costringe il danzatore a tornare ad essere semplicemente un corpo tra corpi; senza la tutela e la neutralità che uno spazio teatrale garantisce.
In un evento di danza urbana i corpi comuni del pubblico e quelli extra-ordinari degli artisti concorrono a scrivere l’evento, sono entrambi elementi drammaturgici in una forte condivisone dello spazio. In questo confronto con l’incessante performatività che uno spazio urbano contiene, diventa più imperativa la domanda su cosa renda un corpo performativo, dove risieda la “straordinarietà” che richiama lo sguardo altrui.

Le pratiche che riguardano il corpo hanno indagato in questo senso, individuando principi e conseguentemente tecniche che nella prassi quotidiana – di un danzatore come di un attore – possano “trasformare” il corpo, qualificando la sua presenza in maniera diversa da quella di una persona comune in un contesto normale. Questo resta ancora il grande lavoro per l’artista e il grande desiderio del pubblico che accompagna ogni volta la visione: la capacità di “muovere” da una parte e la voglia di essere portati via da noi stessi, essere emozionati dall’altra.

Il dualismo così evidente che si crea quando la danza entra in contatto diretto con il quotidiano in spazi quotidiani riattualizza queste questioni. E forse, democratizzando un’arte che si è un po’ rinchiusa nella sua torre d’avorio facendo della presunta incomprensibilità un punto di forza, si potrebbe riportarla alla sua origine di movimento del mondo, ristabilendo un contatto non mediato da verbosità e intellettualismo con la vita e con la gente.

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