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A Genova Giuseppe Provinzano entra nel cuore del GiOtto

GiOtto
GiOtto
Provinzano in ‘GiOtto’ (photo: archivolto.it)

“Benvenuti, accomodatevi, prendete posto”. L’accoglienza è informale, la musica in sottofondo è sognante, ma i toni sono cupi, con un che di scanzonato: la serata si preannuncia impegnativa.
“Il mio mestiere è quello di raccontare storie agli altri”, esordisce sulla scena uno strano personaggio a metà tra cantastorie e direttore di circo. Il pubblico di Genova è teso: sa che ciò a cui sta per assistere non è un’ora di spensierato intrattenimento, non è finzione; è tutto vero, è accaduto qui, proprio in questa città.

Frutto di due precedenti studi, il GiOtto di Giuseppe Provinzano, presentato al Teatro dell’Archivolto, è una minuziosa e dettagliata raccolta di testimonianze e documenti. Il serrato monologo breathless è un ibrido tra narrazione statica e racconto dinamico in cui si susseguono diversi personaggi, ognuno caratterizzato da una precisa collocazione sul palco. La struttura è quella della tragedia classica: con un prologo, un eroe e un antieroe – o, meglio, una tesi e un’antitesi – e un coro, rappresentato dalle voci registrate di 350.000 manifestanti. Un documento autentico che riempie la sala di inquietanti fantasmi.

Genova come Troia e Tebe, insomma. Ma, ammette l’autore, trasformare fatti di cronaca ancora “viva” in storia rappresentata, in tragedia teatrale, non è stato facile. Al racconto intimista di un black block prima, e di un agente delle forze dell’ordine poi, è affidato il compito di chiarire, dare un senso e una direzione a una sequenza di fatti che hanno il sapore dell’assurdo.

Chi da ribelle, chi da carnefice, ognuno si trasforma in vittima, via via sino ai vertici del comando, finché in controluce emerge la sagoma di una grottesca piramide di potere, una “ragion di Stato” le cui ragioni sono sempre più oscure e minacciose.

Scegliendo di mettere in scena un pezzo di storia così recente, Provinzano si è posto un compito arduo. I rischi erano tanti: retorica, ingenuità, superficialità. L’artista ha saputo superarli scegliendo di dare voce a chi il G8 l’ha vissuto, a chi “c’era”. Il risultato è un tributo agli uomini e alle donne, ragazzi e ragazze, padri e madri arrivati a Genova in quei giorni con in tasca una speranza che si sono visti calpestare.
La scelta finale dà però a tutta la storia un sapore un po’ fantasy: ecco infatti sfilare il cattivo dei cattivi che, incappucciato in un mantello nero da Ku Klux Klan, trae soddisfazione dai fatti appena compiuti, tra l’orrore e l’incredulità generale. E anche se quest’uomo, esistente e riconoscibilissimo dalla parlata e dalla maschera, qui rappresenta solo un simbolo, ci lascia perplessi l’idea di addossare tutte le responsabilità su un’unica persona, attribuendole quindi dei superpoteri e contribuendo a rafforzarne il mito: un mito che, seppur negativo, alimenta la forza di chi ha scelto di governarci in tal modo.

Il pubblico applaude a lungo, trattenendosi – dopo la fine dello spettacolo – ad osservare il palco da vicino, quasi possa, questo, restituire una risposta, una spiegazione ai fatti.
È doloroso tornarsene a casa con un fardello d’angoscia, senza aver ricevuto, almeno nel proprio intimo, una piccola rassicurazione che quanto successo a Genova in quell’estate del 2001 non si ripeta più. Eppure di rassicurazioni, per il momento, non ce ne sono.

GiOtto. Studio per una tragedia
di e con: Giuseppe Provinzano
suono: Gabriele Gugliara, Giuseppe Provinzano
luci: Fabio Bozzetta
soluzioni sceniche: Fernanda Filippi
produzione: SuttaScupa
durata: 70’
applausi del pubblico: 2’ 10’’

Visto a Genova, Teatro dell’Archivolto, l’11 dicembre 2008

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