Sexmachine. Ecco il Giuliana Musso’s show

Giuliana Musso
Giuliana Musso
Giuliana Musso in ‘Sexmachine’

Il pubblico bolognese adora Giuliana Musso. Poltrone esaurite, frotte di giovani in fila a chiedere almeno un posto in piedi, e poi donne, tante e di ogni età, scalmanate, entusiaste, partecipi.
E a ragione. Giuliana Musso, in Sexmachine, si rivela ancora una volta attrice di grande tecnica, capace di comporre uno spettacolo denso, vario, divertente, senza rinunciare in qualche modo alla denuncia sociale. A suo favore gioca una drammaturgia articolata e ricca.

Potremmo quindi concludere queste righe affermando (e riscuotendo così l’approvazione delle frotte di signore, signori, signorine e signorini che hanno assistito allo spettacolo sabato scorso all’Itc Teatro di San Lazzaro) que viva Giuliana, che trascina, fa ridere e fa anche riflettere, Giuliana che mostra scorci di mondi sotterranei, facce dimenticate di un nordest disfunzionale, Giuliana che parla di realtà il cui accesso è vietato ai più e (soprattutto) alle più.

Epperò c’è un però, e chi scrive sa di essere impopolare nel pronunciare quest’opinione. Ma pure appare necessario soffermarsi su quel sentimento d’amarezza che non m’ha abbandonata un solo momento durante lo spettacolo, e pure dopo.
A partire da alcuni dettagli tecnici un po’ disturbanti: un abuso di illuminotecnica del quale si poteva forse fare a meno, proprio perché l’interprete è tanto brava e tanto capace. Un uso delle luci che non ho trovato funzionale alla messinscena se non in pochi momenti (uno per tutti, il finale). E poi, la musica, sempre presente, fino al fastidio. Una musica che in alcuni scorci riesce a servire il testo ma, appunto, in alcuni scorci. E, soprattutto, la sensazione di distanza e distacco.

L’impressione di non aver assistito a uno spettacolo teatrale, ma alla performance di una bravissima acrobata, le cui peripezie erano così lontane da me da impedirmi di partecipare alle sue palpitazioni. (E in questa chiave leggo anche la quantità di applausi a scena aperta).

Insomma, tutta questa tecnica è stata messa sufficientemente al servizio della storia, del teatro? Dubbio che sorge ancor di più ripensando a Nati in casa, altro monologo della Musso dal delizioso equilibrio tra bravura dell’attrice e forza della storia.
È come se Giuliana Musso, in questo spettacolo, abbia fatto un po’ troppo.

Mi torna alla mente Sizwe Banzi ert mort di Peter Brook, recentemente andato in scena a Bologna, in cui non si riusciva a soffermarsi sulla bravura degli interpreti poiché era completamente al servizio della storia. Lo spettatore si trovava, senza rendersene conto, completamente coinvolto nella vicenda. Per questo rideva, per questo si commuoveva.

In Sexmachine, invece, si ride dei personaggi, spesso stereotipati, quasi maschere confezionate ad hoc. E quando i personaggi si commuovono e si rattristano non sono mossa né a compassione né a partecipazione, ma mi imbarazzo (e qui torniamo alla storica discussione tra chi vuole che l’attore pianga in scena e chi no, così da permettere al pubblico di farlo. E io, ahimè, appartengo alla seconda scuola).
La sensazione dell’“aver fatto troppo” rimane pure nel pensare alla moltitudine di personaggi e di punti di vista portati in scena. Al termine di questa carrellata mi domando: cosa si voleva dire? L’artista ha parlato di sesso, famiglia, donne, nordest, modelli produttivi, generazioni… senza però andare a fondo in alcuna questione.
Giuliana Musso continua a piacermi. Ma spero che, la prossima volta, mi mostri meno e mi trasmetta di più.

Sexmachine
di e con Giuliana Musso
regia: Massimo Somaglino
musiche in scena: Igi Meggiorin
durata: 1 h 37′
applausi del pubblico: 3′

Visto a San Lazzaro (BO), Itc Teatro, il 13 dicembre 2008

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