Una stagione teatrale tagliata esattamente in due parti: è quella che vede Glauco Mauri dividersi fra Gesù e, potremmo dire, Mefistofele. Nella prima parte ha infatti portato in scena Il Vangelo secondo Pilato del drammaturgo contemporaneo Eric-Emmanuell Schmitt, una produzione 2008 in cui ha interpretato proprio il ruolo di Gesù (nella foto).
Nella seconda, invece, torna ad una produzione del 2007, il Faust di Goethe.
La Compagnia Mauri Sturno, che negli anni ha interpretato moltissime opere del teatro classico e non solo, vantando un seguito di pubblico importante e affezionato, arriverà proprio con il Faust nelle Marche, fra Pesaro, Lugo e Fabriano, dal 18 al 25 gennaio.
E mentre nell’opera di Schmitt Mauri racconta gli aneliti spirituali verso l’assoluto, i dubbi sull’esistenza del dio, anche da laico; nel Faust è alle prese con le pulsioni verso l’eterna giovinezza del sempiterno mito dell’anima venduta al diavolo.
Uno spettro assai ampio, fra i due assoluti, alle prese con due drammaturgie: una più classica, ottocentesca e rivista in modo moderno, e una moderna a cui Mauri, che ha curato la regia, ha cercato di dare un impianto a suo modo classico, anche nelle scene di Mauro Carosi, povere e tragiche nel loro neoclassico incombere. Un’immanenza che, prima ancora d’esser scenografica, riguarda la domanda assoluta sull’esistenza o meno di dio. Mauri non ci dà risposta, abbracciando un binario laico che cerca di raccontare prima di tutto il dubbio, lo stesso che campeggia su locandina e programma di sala: un punto interrogativo gigantesco in cima al quale siede un uomo.
Gesù, quindi, prima di tutto come uomo, alle prese con i dilemmi circa la sua esistenza, la vita e la morte. Che guarda all’immortalità dell’anima.
Anche Faust è uomo, alle prese con i dilemmi circa la sua esistenza, la vita e la morte. Che guarda però all’immortalità del corpo.
Posta così la questione ha un che di intrigante, non fosse altro per la missione del regista e dell’attore alle prese e in bilico tra i due rovesci della medaglia.
Parlando del Faust Mauri dichiara: “In una società così avara di poesia e di umanità, un uomo di teatro deve assumersi la responsabilità di raccontare quei capolavori del passato che ci regalano meravigliose e sorprendenti fonti di meditazione sull’oggi e anche sul nostro domani. Il Faust non è la storia di un grande personaggio: è la storia dell’Uomo. Un sublime, anche se a volte disorganico, tentativo di rispondere alle grandi domande che la vita ci pone”.
Come si evince dall’intervista, registrata al Teatro Valle di Roma durante le repliche, sempre da tutto esaurito, de Il Vangelo secondo Pilato, le stesse considerazioni fatte per il Faust, valgono per Mauri anche su Gesù e Pilato, recuperando in modo chiaro l’unitarietà dell’indagine che l’uomo di teatro, attraverso la sua attività, sta portando avanti.
Ci salta agli occhi la bizarria con la quale la vita offre, anche sul palcoscenico, la possibilità di confrontarsi, nello stesso tempo, con bianco e nero, yin e yang, bene e male.