GO.GO.GO. Sokurov dal cinema al teatro del Vecchio Mondo

Photo: triennale.org
Photo: triennale.org

Per il suo esordio teatrale, il visionario regista russo Aleksandr Sokurov, ospite per questo debutto assoluto in una sede già di per sé immaginifica come il palladiano Teatro Olimpico di Vicenza, ha scelto come base della sua ispirazione l’unica opera teatrale del poeta conterraneo Josif Brodskij, Premio Nobel per la letteratura nell’87, “Marmi”, diventato per l’occasione “GO.GO.GO”.

Apprezziamo Sokurov fin dal primo film che lo impose all’attenzione della critica, il lancinante “Madre e figlio” del 1997, opera squisitamente pittorica, avara di parole, sul rapporto di una madre e di un figlio immersi in una natura sempre percorsa dal vento.

“GO.GO.GO”, come nel suo film più conosciuto “Arca Russa”, sorta di immenso occhio che ininterrottamente si insinuava per più di un’ora e mezza nell’Hermitage di San Pietroburgo, è anche qui una specie di unico piano sequenza in cui non è più l’occhio del regista ma quello dello spettatore a vagare davanti a sé, in una immensa piazza in cui si aggira una folla multicolore e multilingue in attesa di assistere alla proiezione cinematografica, all’aperto, di “Roma” di Fellini, che in carne ed ossa è anch’egli presente in scena (ma c’è anche la Magnani, interpretata sia dalla nipote Olivia che, in altre repliche, da Karina Arutyunyan).

Siamo probabilmente in una città italiana, emblema di un Vecchio Mondo che non c’è più, e in cui si aggirano, isolati dal coro e spesso anche respinti, i due protagonisti, il barbaro Tullio (Max Malatesta) e il romano Publio (Michelangelo Dalisi), due reclusi in una sorta di prigione celeste.
Tullio e Publio sono due presenze intercambiabili, non per niente presentati con due facce, opposti per origine, cultura e carattere: l’uno orgoglioso della propria raffinata cultura classica; l’altro dai gusti più basici ed elementari. Nello spettacolo diventano due topi che paiono uomini, o meglio uomini che sembrano ratti.
Nel loro dialogo dissertano sulla cupidigia del mondo, sulla sua aridità e sull’impossibilità di una redenzione, spesso catapultando le parole direttamente sul pubblico.
C’è poi lo stesso Brodskij, interpretato da Elia Schilton, che inutilmente cerca di irretirli con la sua poesia.

Tullio e Publio finiranno assai male: rifugiatisi su un altare pagano che sorge al lati della piazza, in cui è racchiusa una grande forma di grana, verranno schiacciati e smembrati in grossi sacchi che grondano sangue, infine portati via da una sorta di cerimoniere che governa l’andare e venire di tutta la piazza, interpretato da Simone Derai di Anagoor, anche assistente alla regia.

C’è molta carne al fuoco in questo corale “GO.GO.GO”, che il teatro riesce poco ad esplicitare con la dovuta comprensione e soprattutto potenza, con il pericolo che l’attenzione del pubblico possa vagare qua e là per la grande scena palladiana alla ricerca del senso del tutto.

Per fortuna emerge anche qui il Sokurov cinematografico che, spezzando il realismo bozzettistico della scena, firmata da Margherita Palli, la riempie in modo onirico di immagini e presenze che rimandano al suo amore per la storia e per la classicità, con proiezioni in ogni dove (dal grande glicine, con i fiori che cadono continuamente sulla scena, al film di Fellini, che viene proiettato sull’apertura centrale che meravigliosamente spezza la scena del Teatro Olimpico, riverberato sul proscenio, in una sorta di pozzanghera in cui alla fine appare il poeta con la moglie).

Nella bellissima conclusione, finalmente consolatoria, sarà proprio Brodskij a gettare un seme di speranza, abbracciando il ragazzo che, unico tra la folla, ha ascoltato in silenzio le sue parole.

“GO.GO.GO” verrà rappresentato a Milano al Teatro dell’Arte, che lo produce, dal 7 al 30 ottobre; ma come anticipa Franco Laera – che a gennaio lascerà il posto a Umberto Angelini alla direzione del teatro milanese – ovviamente sarà un altro spettacolo.

GO.GO.GO
liberamente ispirato a Marmi ed altri testi di Iosif Brodskij
con il patrocinio di Fondazione Brodskij | Joseph Brodsky Memorial Fellowship Fund
progetto e regia Aleksandr Sokurov
testi originali e adattamento scenico Aleksandr Sokurov e Alena Shumakova
con: Max Malatesta (Tullio) e Michelangelo Dalisi (Publio) con la partecipazione di Elia Schilton (Iosif Brodskij)
e con: Olivia Magnani (29-30 sett.) / | Karina Arutyunyan (1 e 2 ott.), Paolo Bertoncello, Alessandro Bressanello, Giulio Canestrelli
e con gli interventi di Piero Ramella, Schola Poliphonica del Santuario di Monte Berico, Spazio Voll e NextArea Parkour
spazio scenico & art direction Margherita Palli
assistenti alla regia Simone Derai e Marco Menegoni
traduzioni dei testi di Iosif Brodskij, Gianni Buttafava, Fausto Malcovati, Serena Vitale
per gentile concessione di Adelphi Editori
video design Federico Bigi | Apparati Effimeri
sound design Mauro Martinuz
maschere e protesi Plastikart Studio | Zimmermann & Amoroso
costumi Sasha Nikolaeva
luci Fiammetta Baldiserri
direzione tecnica Ezio Zonta
coordinamento tecnico Paolo Casati
assistente alla scenografia Marco Cristini
con la collaborazione di Giorgia Amabili
aiuto fonico Marco Furlanetto
sarte Carolina Cubria e Lara Friio
realizzazione scene Props&Culture | Opificio Milano e Palcobase Vicenza
foto e documentazione video Giulio Favotto
coordinamento di produzione Virginia Forlani
prodotto da CRT Teatro dell’Arte | Milano
commissionato dal Teatro Olimpico di Vicenza | Conversazioni 2016
con la collaborazione del Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone

durata: 1h 15′

Visto a Vicenza, Teatro Olimpico, il 1° ottobre 2016
Prima assoluta

stars-3

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2 Comments

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  1. says: Giuseppe

    Per favore è una cagata pazzesca… Perché non scriverlo? Qui andiamo oltre al semplice criterio del punto di vista. A teatro stasera abbiamo visto solo dilettantismo all’ennesima potenza: radiomicrofoni grachianti (poi perché radiomicrofoni se siamo a teatro?), testo inesistente, recitazione incomprensibile e stereotipata (Sukorov e i russi hanno realmente questa immagine di noi italiani?). E ciliegina sulla torta attori protagonisti che scappano agli applausi facendo sentire il pubblico un emerito imbecille. Il tutto pagato 25 € a biglietto e si era in quattro. Posso chiedere il rimborso a qualcuno.

    1. says: mario bianchi

      Giuseppe, non credo che la mia recensione possa essere considerata positiva, il fatto principale era che il tutto era rappresentato forse nel teatro più bello del mondo, l’Olimpico di Vicenza, che Margherita Palli aveva trasfigurato, rendendo significante tutto quello che vi accadeva dentro Se tu l’hai visto, come penso a Milano, nello spazio asettico del Teatro dell’Arte,il tuo rifiuto mi pare possa essere condivisibile. Del resto, alla fine dell’articolo, non certo entusiasta, dicevo che a Milano sarebbe stato un altro spettacolo.