Son passati due secoli e due alieni, o forse due gufi, o piuttosto due attori in veste d’animale (o due alienati in veste d’attori? O due interpreti della crudeltà tragicomica della nostra condizione attuale?); ad ogni modo i due sono scesi – o saliti – tra noi per mettersi in scena, al Teatro Orologio di Roma.
I DoppioSensoUnico, dopo “La Variante E.K.”, persistono nello svisceramento esilarante dei meccanismi di fruizione/partecipazione al gioco serio dello spettacolo e della vita, decostruendo i riti e i legami con la realtà del vissuto e del subìto di noi umani.
C’è un espediente amoroso, un triangolo amoroso tra gufi, e c’è un cruccio esistenziale da sottacere: anche gli alieni non sanno che farsene del loro tempo. Tra ingenuità manifeste e raggiri linguistici dei malcapitati presenti, tra calembour e motti di spirito dal sapore caustico, per sconfiggere la noia (anche i gufi, quell’anello mancante dell’evoluzione o del passaggio uomo-alieno-alienato, ne soffrono) bisogna trovare dei bersagli.
In primis smontando quelli che ormai non sono altro che slogan in bocca a quei santini della modernità, di cui non resta che una maschera (da Hitler a Darwin, da Marx a Gandhi, fino a Gesù), con un procedimento da coppia rodatissima, scambiandosi vicendevolmente il ruolo di carnefice-vittima, insistendo sull’irrispetto del copione (del ruolo) come irresistibile arma comica.
E poi soprattutto allargando il discorso attraverso l’incursione forzata del pubblico, e un’allucinazione individuale che facilmente diventa collettiva, facendoci dubitare sull’onda dell’equivoco su “chi è chi e chi non lo è più”.
Giovandosi d’una frammentarietà dichiarata e d’una logica efferata, in un discorso scenico che si arena e si ingolfa nell’inesauribile esaurimento (nervoso) del senso, pur nella rigorosa assenza di musica, il ritmo di “gU.F.O.”, tanto debitore per struttura e topoi ai lavori di RezzaMastrella, è incalzante.
Se le maschere li avvicinano a marionette giganti, il gioco di coppia accosta i DoppioSensoUnico all’avanspettacolo più genuino, in una mescolanza dissacratoria e consapevole tra alto e basso (binomio che può valere tanto per la portata scenica dei due – uno altissimo e l’altro normotipo – quanto per riferimenti culturali rimanipolati).
La mutevole scena in dotazione ai Gufi rimanda per un verso ad un banco degli imputati (degli impuntati?) che parodia ribalte televisive alla Forum, lasciando i due protagonisti ai due capi di un’ipotetica fittizia finestra sul mondo, e dall’altro ad un sinistro studio medico – tra l’ambiente dello psicanalista, quello dell’inquisitore poliziesco o ancora quello d’uno Stargate di bassa lega -, e qui il riferimento potrebbe essere lo sfasato Woody Allen di “Zelig” tanto quanto quello fuori tempo de “Il Dormiglione”.
Se i Gufi restano chiusi dentro il loro assurdo recinto mentale, gli alieni si avventurano nella conquista del pianeta umano, prendendo in prestito suadenti tecniche totalitarie, per subdola strategia e per sottigliezza più alla Goebbels che alla Hitler: la tecnica del raggiro e della persuasione occulta trova qui i suoi risvolti parossistici. Quanto siamo manovrabili, capaci di ripetere molto più che di tradurre, capita di capire tramite il primo umano pescato dagli alieni.
Attraverso un uso destabilizzante della “situazione” e dell’imponderabile-indeterminato proveniente dallo spettatore-vittima di turno, si dipana crudele un grande meta-discorso, in cui, attraverso quell’inesauribilità dello scherzo rispetto alla limitatezza della serietà, si parla soprattutto dell’esercizio del Potere e dei suoi molteplici e ingannevoli dispositivi di cattura.
gU.F.O.
uno spettacolo di e con: Luca Ruocco e Ivan Talarico
maschere dei gufi: Tiziana Tassinari
scene: Fiammetta Mandich e Stefania Onofrio
luci ed oggetti di scena: Stefania Onofrio
durata: 1h 10′
applausi del pubblico: 2′
Visto a Roma, Teatro dell’Orologio, il 29 gennaio 2014