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Guintche, l’assolo apotropaico di Marlene Monteiro Freitas

Ph: José Caldeira

Ph: José Caldeira

In Triennale per FOG, la coreografa Leone d’Argento nei riti ancestrali capoverdiani

“Guintche” è una parola creola polisemica che designa un uccello, una prostituta o l’atto di passare da una cosa all’altra senza coerenza.
“Guintche” è il malinconico, irriverente assolo eseguito a Milano da Marlene Monteiro Freitas, ballerina e coreografa capoverdiana Leone d’Argento alla Biennale di Venezia.

Fumo in sala. Fondale blu cobalto. Un sacco da boxe al centro della scena. In Triennale per Fog, una moltitudine di immagini. Un’energia che sembra arrivare dalla preistoria e si materializza da un’Africa ancestrale, tra riti inziatici e celebrazioni apotropaiche.
La danzatrice si rivela intera e molteplice. In quest’ipostasi dello spirito dionisiaco avviata da Henri “Cookie” Lesquillier e Simon Lacouture, virtuosissimi batteristi che creano uno stordimento di percussioni, Marlene è personaggio affamato d’energia carnevalesca. È clown, marionetta indemoniata, coacervo di paradossi.
La danzatrice attraversa la platea in accappatoio da boxe. Sale sul palco, in costumi sgargianti. È un uccello dal piumaggio variopinto. È carne di una natura incontaminata.
È un ring questa danza compulsiva e frenetica, avviata dal rullo di tamburi, rafforzata dall’uso dei piatti, agitata dalle luci di Yannick Fouassier. È uno show pervasivo ed esilarante senza esclusione di colpi.

Al ritmo ossessivo delle percussioni, ancorata saldamente al palco, Monteiro Freitas dà il via a una lunga sequenza di mutazioni legate principalmente alle espressioni del viso: un’esperienza ipnotica dal retrogusto inquietante, che incolla alla scena lo sguardo del pubblico. Danzano i muscoli, agitati. Danzano le ossa. Danzano caviglie e polpastrelli, rotule e cosce. Danzano inguine e bacino, busto, omeri, scapole, braccia, gomiti, falangi, falangine e falangette. E allargando bocca e labbra, giocando in mille modi con la mandibola e la lingua, riproducendo sberleffi ed espressioni esotiche di tutte le risme, la protagonista dà consistenza a un senso soprannaturale. Quel viso diventa una maschera africana, icona che incarna lo spirito divino e quello animale. C’è il senso di un cerimoniale che mette in antitesi la vita e la morte, il bene e il male, l’angoscia e il mistero. E ancora, il passaggio rituale dall’infanzia all’età adulta.

Sotto una tempesta di colpi via via incalzante, in un climax acustico tramortito e avvincente, questa danza frenetica, potente e toccante, parla del desiderio insaziabile di vita. È gancio esistenziale. È inno al tempo, scavato dai sogni e dal ritorno all’umanità animalesca e primigenia.
Ciò che colpisce in questa creatura notturna consumata dall’arte, in questo corpo che vibra pervaso da un’estasi dionisiaca, è il mutare continuo del viso: facce stupite, atterrite, contratte, abbacinate. Occhi fuori dalle orbite, sbarrati, attoniti, orridi, terribili. Smorfie di sberleffo impertinenti e goffe. In un rito demoniaco che diventa esorcismo e deformazione grottesca.
Il persistente ruotare del bacino avvia il deliquio, è una trance che esonda sulla platea e diventa comune traguardo di un’alterazione carnale e spirituale.
La danzatrice diventa medium tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Prima di avviare un ciclo di rinascite, di trovare la sostanza di una più autentica e completa umanità nella bellezza di un’arte poliedrica, più levigata, ma mai totalmente pulita, mai del tutto capace di prendersi sul serio.

Anche nel finale, Monteiro Freitas dà solo la sensazione di virare verso la classicità. Rimane pervasa da una danza isterica e tribale, a contatto con gli antenati, accompagnata da urla e grugniti. “Guintche” crea una dialettica tra la pugile, la strega e la ballerina. Insomma, è un’arte muscolare e visuale che ci riconduce a quell’umanità ferina estromessa dalla civiltà, ma più autentica, con cui abbiamo l’urgenza di ritrovare il contatto.

GUINTCHE
coreografato e interpretato da: Marlene Monteiro Freitas
musica dal vivo: Henri “Cookie” Lesguillier, Simon Lacouture (percussioni)
musiche: Johannes Krieger (tromba) da Rotcha Scribida di Amândio Cabral, Otomo Yoshihide (estratto di assolo di chitarra), Anatol Waschke (sharpnel)
suono: Tiago Cerqueira
luci: Yannick Fouassier
spazi e costumi: Marlene Monteiro Freitas
produzione: P.OR.K – Janine Lages, Carolina Goulart
distribuzione: Key Performance
co-produzione: ZDB-Negócio
residenze artistiche: O Espaço do Tempo, Alkantara Festival
supporto: Re.Al, Forum Dança, Bomba Suicida
ringraziamenti: Avelino Chantre, Pedro Lacerda, João Francisco Figueira, Anatol Waschke / P.OR.K Associação Cultural is funded by Governo de Portugal – Ministério da Cultura / Direção-Geral das Artes

durata: 1h
applausi del pubblico: 2’ 40”

Visto a Milano, Triennale Teatro, il 12 aprile 2024

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